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Il concerto recuperato del trio jazz Pieranunzi-Johnson-Motian

I misteriosi intrecci del jazz: la storia di un live ritrovato, “The Copenaghen Concert” del 1996

Il concerto recuperato del trio jazz Pieranunzi-Johnson-Motian
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3 Settembre 2020 - 22.30


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di Giuseppe Costigliola

Per gli appassionati di jazz l’uscita di un nuovo disco è notizia ghiotta. Ancor più quando a inciderlo è una formazione memorabile, come il trio Enrico Pieranunzi, Paul Motian e Marc Johnson. È infatti stato pubblicato The Copenhagen Concert, registrazione di un concerto tenuto nella capitale danese il 2 dicembre del 1996, fortunosamente (e fortunatamente) recuperata.
È un disco di qualità eccelsa, che si porta dietro una storia affascinante, frutto del caso o magari di imperscrutabili disegni, di inattese convergenze spazio-temporali: una vicenda illuminante del significato più autentico del jazz, universo fatto di incontri, incroci, confluenze quasi mai prevedibili – come la vita.

È andata così: ogni qualvolta suonava a Copenaghen, nei primi anni ’90, Pieranunzi non mancava di fare un salto in un accogliente negozietto di dischi e libri di jazz, lo “Steve’s books and records”. Nacque allora un’amicizia tra lui e il proprietario, Steve Schein, un californiano trapiantato in terra danese, ovviamente grande appassionato di jazz e cultore del pianista romano.
Nel 1996 Steve chiama Enrico dicendogli che vuole organizzare un concerto al “Jazzhouse”, il più importante club di Copenaghen, per festeggiare i vent’anni del suo negozio, e gli chiede di suonare. All’inizio di dicembre di quell’anno Pieranunzi ha in agenda un tour in Francia con Marc Johnson e Paul Motian: si potrebbe attaccare il concerto al tour, subito prima che questo abbia inizio. Cosa che avviene il 2 dicembre 1996, e l’esibizione viene registrata. Qualche anno dopo, Steve Schein consegna a Pieranunzi due musicassette, e in seguito un cd con la copia delle stesse, che il pianista ripone fra le tante registrazioni conservate a casa.

A questo punto entra in scena l’altro personaggio chiave della vicenda, Mona Granager, dinamica patron di una piccola ma gloriosa etichetta danese, la Storyville, per la quale Pieranunzi ha inciso il cd New Visions, col contrabbassista danese Thomas Fonnesbaek e il batterista statunitense Ulysses Owens jr. Pieranunzi le parla di quel lontano concerto con Johnson e Motian, chiedendole se sia interessata a pubblicarlo con la sua etichetta. Certo che sì, risponde lei, al che il pianista comincia a rovistare tra i suoi cartoni colmi di note passate, recupera il cd e si mette finalmente ad ascoltarlo.

È uno shock. Pieranunzi scopre che la qualità della registrazione è davvero buona e il livello della performance notevole. Porta allora il cd ad un amico tecnico del suono che sistema il materiale, quindi invia i files alla Granager, che ne rimane entusiasta. Contestualmente li fa avere anche a Marc Johnson, il quale non ricorda nulla di quel lontano concerto, ma è felicemente stupito di ritrovare quella musica. Avuto il suo ok, la Granager contatta gli eredi di Motian, che si dichiarano anch’essi favorevoli alla pubblicazione: ed ecco pronto il cd, testimonianza di una collaborazione artistica di alto livello e di un’emozionante esperienza umana.

Il disco si compone di sei pezzi, tra cui un medley, un repertorio che Pieranunzi ormai suona di rado e che quindi può essere apprezzato dai suoi tanti fan. Già nel brano di apertura, “Abacus”, scritto dal batterista, dall’andamento mosso e variegato, si confermano le qualità improvvisative dei tre musicisti e le peculiarità di questo trio, il cui sound è caratterizzato da un’ammirevole sinteticità melodico-ritmica, dal sapido blending di profondo lirismo e coinvolgente energia, in cui il pianismo nutrito di pathos di Pieranunzi si combina sapientemente a brucianti accelerazioni dagli accenti hard-bop, sostenuto dai mirabili fraseggi di Johnson, dal drumming potente e inconfondibile dell’indimenticato Motian. Segue un brano di Pieranunzi, “The Night Gone By”, quindi una serie di standard: “Invitation”, un medley di “Body and Soul/If I should Lose You”, “Everything I Love” e un’incantevole versione di “Pannonica”. Diversamente dall’originale di Thelonious Monk, il pezzo viene suonato in tempo di valzer, scelta che ne accentua le suggestioni stranianti, riuscendo arcanamente ad evocare le atmosfere sognanti di “Fellini’s Waltz” (celebre composizione di Pieranunzi) e la dolcezza e la maestria pianistica del Bill Evans di “Waltz for Debby”.

A questo punto non sfuggirà un’ultima suggestiva coincidenza che caratterizza questo splendido disco, uscito proprio nell’anno in cui cade il quarantennale della scomparsa di Bill Evans. Qui entra in gioco la collaborazione di Pieranunzi con Johnson e Motian, una storia musicale ed umana affascinante che attende di essere raccontata. Motian fu per otto anni (dal 1956 al 1964) il batterista del primo storico trio di Bill Evans, con Scott LaFaro al contrabbasso, formazione che ha cambiato la concezione del moderno trio jazz. Marc Johnson, a sua volta, è stato contrabbassista dell’ultimo trio di Evans, con Joe LaBarbera alla batteria, di pari livello creativo del primo. Pieranunzi, ideale successore di Bill Evans, con Johnson e Motian ha registrato quattro dischi, tra cui uno al mitico Village Vanguard di New York, dove Evans si era esibito più volte, con gli stessi musicisti.

Insomma, in questi misteriosi intrecci di eredità musicali e sodalizi umani e artistici, ci piace pensare che questo disco – che si guadagna un cantuccio nel patrimonio della storia del jazz – sia il frutto di un disegno imperscrutabile. O che Enrico, Marc e Paul abbiano inconsapevolmente e tacitamente voluto rendere omaggio a colui che per ognuno di loro è stato, in modo diverso, un punto di riferimento artistico fondamentale. Pura immaginazione, certo. Ma la magia del jazz sa rendere concrete le fantasie più fervide – si ascolti “Pannonica” per credere.

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