Tra anarchia e partigiani Rocco Rosignoli fa risuonare i “Canti rossi” | Giornale dello Spettacolo
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Tra anarchia e partigiani Rocco Rosignoli fa risuonare i “Canti rossi”

Il cantautore ha sfornato un album ancorato alla storia, dalla ballata anarchica a “Fischia il vento”, “Bella ciao” fino a “Gappisti” sui combattenti urbani della guerra partigiana

Tra anarchia e partigiani Rocco Rosignoli fa risuonare i “Canti rossi”
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24 Aprile 2020 - 12.30


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di Marco Buttafuoco

Comincia con la struggente ballata che Pietro Gori dedicò a Sante Caserio, condannato a morte nel 1894 l’uccisione del presidente francese Sadi Carnot, questo Canti Rossi, (Sophioniki Record, con il patrocinio di Anpi Parma e dell’Istituto Ernesto De Martino) di Rocco Rosignoli, trentasettenne cantautore parmigiano, nella tradizione e nella memoria della canzone politica italiana e non. La canzone, una delle più belle del vasto repertorio del poeta anarchico elbano, è forse una sorta di silloge di questo disco molto riuscito, in cui Rossignoli canta e fa l’one man band, dal momento che suona da solo, sovrapponendo le parti, in quattordici delle quindici tracce. tracce. Ballata per Sante Caserio è la storia dell’eroe solitario che compì il suo gesto estremo, che non fu compreso da quel popolo, vile, cui donò l’anima, ma dal cui esempio scaturirà la finale guerra fra oppressi e oppressori.

È l’ancoraggio a una memoria tenace, ma in qualche modo mesta, l’omaggio agli uomini che hanno le anime “corrose da idee favolose” o, meglio ancora “la malinconia per compagna di danza”, come cantava l’altro grande libertario Leo Ferré. Quando propone quel repertorio “classico” della cultura politica italiana di parte proletaria, Rossignoli raggiunge risultati davvero molto efficaci. Ad esempio, quando fa risuonare echi klezmer (lavora anche al Museo Ebraico di Soragna, a pochi chilometri dalla città ducale e ha dedicato anche un disco alla musica ebraica) in Fischia il Vento e in Bella Ciao (che forse nasce proprio come canzone yiddish); quando scurisce ancora di più, con l’uso sapiente di un’abrasiva chitarra elettrica lo strazio infinito di Fuoco e mitragliatrice, e ancor più il clima tragico di Gorizia (che canta nella versione più radicale, quella di “Traditori Signori Ufficiali, voi la guerra l’avete voluta” cha tanto scandalo destò a Spoleto nel 1964).

In questi momenti (cito anche il poco noto Figli di Nessuno e Il Galeone), Rosignoli riesce a mantenere intatta, con grande misura ed essenzialità, la natura epica del materiale scelto assumendo le vesti di un cantastorie malinconico, un musicista di strada che invece di un organetto meccanico usa effetti elettronici e cordofoni mediterranei. Uno dei brani, La Despedida tratto dal canzoniere della guerra civile spagnola, è invece accompagnato da un trio d’archi in cui suona anche lo stesso cantautore.

Il cd ha due autentiche perle. Una è l’originale Gappisti, un pezzo che ricorda i combattenti urbani della guerriglia partigiana (ingiustamente trascurati dall’innografia com’è notato nelle curatissime note di copertina) con un piglio e una crudezza che fa pensare al magnifico Chant des Partisans francese. L’altro è l’Inno del Patriota, composta dal partigiano ebreo (almeno quest’anno non vedremo le stupide contestazioni alla Brigata Ebraica) Cesare Bassani sull’aria del celebre Inno della Rivolta, un classico della tradizione anarchica (quello di “ Nel fosco dì del secolo morente”) che utilizza anche versi della versione originale.

Molto efficace anche l’idea di affidare a un coro non professionista la Ballata dei Morti di Reggio Emilia. Meno convincenti le riproposizioni di due brani di Fausto Amodei e Ivan Della Mea; probabilmente, si passi la franchezza, non particolarmente efficaci in origine. Anche le incursioni internazionali, due pezzi sulla guerra di Spagna e la riproposizione di un pezzo di Bertolt Brecht e Kurt Weil ( L’epitaffio per Rosa Luxemburg), appaiono meno immediate e lontane dall’epos intriso di saudade che aleggia su tutto il disco. Queste note non tolgono tuttavia valore alla riuscita complessiva del disco. Canti rossi è una bella “meditazione poetica” su quello che è un patrimonio, indimenticabile e indimenticato, di tutti i combattenti per la libertà, quale che sia la loro età o la loro vicenda personale.

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