di Marco Buttafuoco
È morto il pianista McCoy Tyner, uno degli ultimi giganti del jazz a camminare ancora sulla terra. Nato a Philadelfia, nel dicembre del 1938 incontrò nel 1960, John Coltrane e con lui suonò fino al 1965, in un quartetto, con Jim Garrison al basso ed Elvin Jones alla batteria, che è stato un cardine della storia del jazz. Una formazione che era, a un tempo, uno dei massimi vertici espressivi dell’arte afroamericana, e il punto di partenza per una musica nuova, aperta a tutte le influenze.
Coltrane aveva già compiuto passi da gigante (per citare uno dei suoi più celebri dischi prima dell’incontro con Tyner) nella ricerca di nuove e radicali soluzioni armoniche, ma fu con Mccoy che trovò il suo partner ideale, fu con lui che espresse al massimo quella indomabile sete di assoluto, quell’ansia di dire l’indicibile. Il loro primo disco My Favourite Things fu già una svolta. per la prima volta Trane usò il sax soprano, distorcendo, nel primo brano, e graffiando all’infinito un tema, fragrante e innocuo come quello che dava il titolo all’incisione, un valzerino di Broadway. Anche nel secondo brano, un’improvvisazione su Summertime, il quartetto dispiegò tutta sua radicalità. C’era l’Asia, in quella musica, c’era un’Africa non mediata dall’incontro con l’Europa, c’era un futuro ancora immerso nella tradizione del grande jazz.
Difficile in poche righe descrivere appieno, la bellezza di quella proposta: scegliendo a caso viene da citare Greensleeves, uno dei brani di un album (Africa) del 1961. L’antica melodia inglese viene scomposta, riproposta, smembrata e riassemblata dai quattro. Il pianismo di Mccoy è roccioso, implacabile, ma, allo stesso tempo apre continuamente scenari nuovi. Oppure quell’Anda Jaleo spagnola (che poi era Il tema del Quinto Regimiento, una delle più celebri canzone repubblicane della guerra civile) proposta in Olè ( sempre nel 1961). Per inciso il fratello Jervis, è stato dirigente del partito comunista degli USA e due volte candidato alla Casa Bianca.
La collaborazione con Trane continuò fino al 1965. In quell’anno uscì A Love Supreme, forse uno dei vertici dell’arte, di tutta l’arte del ’900, emotività e spiritualità allo stato puro, una preghiera gridata, un urlo pieno di tenerezza.
La musica di Trane si incamminava però verso lo sperimentalismo assoluto, verso una feroce astrazione, alla ricerca di una dimensione sempre più mistica. “Oramai, solo i poeti – disse Elvin Jones- lo possono capire”. Tyner non si considerava tale e ruppe il sodalizio e proseguì la sua ricerca con gruppi suoi. Rimase sempre, come lo definì lo studioso Marcello Piras “una montagna di musica”, ma la sua fama restò, per sempre, ancorata a quel quartetto.
Anche nel ricordarlo è impossibile, a caldo, separare il suo nome da quello di Trane. Molti appassionati hanno con la loro musica un rapporto intimo ed esclusivo, soprattutto con A Love Supreme, che ai suoi tempi vendette moltissimo (non a caso, poiché anticipava l’epoca delle grandi ribellioni). McCoy Tyner anderebbe giudicato per tutto quello che ha dato nella sua carriera, ma non oggi, a poche ore dalla sua scomparsa. Quello che possiamo restituirgli, con le parole, è solo una piccola parte delle emozioni che ci ha donato.