Il Parto delle Nuvole Pesanti: «Sinistra e Sardine, ricordatevi della Calabria»

Salvatore De Siena, del gruppo calabrese da decenni a Bologna: «Le Sardine dovevano invitare Mimmo Lucano. In Emilia Romagna votiamo una lista per Bonaccini, è una trincea»

Il Parto delle Nuvole Pesanti: «Sinistra e Sardine, ricordatevi della Calabria»
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23 Gennaio 2020 - 10.46


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Marco Buttafuoco

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Non è per niente esagerato definire un gruppo storico Il Parto delle Nuvole Pesanti. Storico, poiché il loro primo disco risale al 1991. Un gruppo molto legato alle proprie radici calabresi, anche se tutti i componenti vivono da decenni a Bologna (per anni hanno collaborato con il compianto Claudio Lolli). La loro musica si potrebbe, semplificando, etichettare come folk rock mediterraneo, ma in questa sede basterà sottolinearne il costante impegno politico e sociale, la continua attenzione alla realtà circostante, ai temi dell’ambiente della mafia, dello sfruttamento, dei migranti, il legame con la cultura del mezzogiorno. Un impegno espresso ma non certo attenuato da melodie semplici, talvolta cantilene o danze popolari, da testi ricchi, spesso, ma non sempre, di giochi di parole.
La proposta del PNP è, specialmente sul palco, una sorta di cabaret politico, una performance di cantastorie post moderni, condita da elettronica e strumenti popolari. Ai loro spettacoli la gente finisce per ballare. Dopo un’assenza di sei anni (l’ultima incisione fu “Che Aria Tira”) a novembre hanno dato alle stampe un nuovo cd, “Sottomondi “.
Il loro cantante, e autore dei testi, Salvatore De Siena, artista esuberante, momentaneamente prestato alla professione forense, sottolinea come il disco sia una tappa importante nella storia del Parto. “La forma canzone ci sta oramai stretta, vorremmo sperimentare qualcosa di nuovo, rompere le gabbie degli schemi. Dopo tanti anni di lavoro, dopo tredici dischi incisi e tante collaborazioni sentiamo ancora che il meglio deve venire, che c’è ancora tanto da fare. Tony Canto ci ha molto aiutati, con i suoi arrangiamenti a dare forma a queste nostre idee, ancora da sviluppare. Non so quando torneremo in sala d’incisione, ma quando avverrà, sarà per qualcosa di veramente nuovo.

Nei vostri lavori i testi, sempre molto critici rispetto alla realtà, hanno un ruolo molto importante. Mi piace ricordare un pezzo di quel cd, “La nave dei veleni” nel quale la voce di Carlo Lucarelli affermava nel finale che “il male è infinito e il senso non si afferra”. A distanza di sei anni come vedete la realtà di oggi?
“Non ci sono motivi particolari per essere ottimisti. Anzi ci sono dati nuovi che gettano ombre ancora più spesse su questi nostri giorni. Il primo è questa rabbia sorda, ossessiva che fa da sottofondo alla nostra epoca. Un fenomeno che non è solo italiano, sia chiaro, ma che da noi assume forme particolarmente esasperate. Il secondo brano del nostro disco, un pezzo molto distante dalla forma canzone tradizionale, ha come protagonista un tale che ha come suo vanto la sua asocialità. Ce l’ha con tutti, con gli immigrati, ovviamente, con i gay, con gli handicappati che si prendono i parcheggi, con gli insegnanti, con l’Europa. Alla fine ce l’ha pure con se stesso. Il refrain del brano è “Plotone d’esecuzione, son tutti da ammazzà”. È un ritratto, molto grottesco, dell’odiatore contemporaneo. Quello che trova sfogo sui social. Un altro brano proclama nel titolo che L’ignoranza è figa”. Ecco l’irrazionalità, il rifiuto della cultura è la cifra più negativa di questi ultimissimi anni”.

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A proposito d’irrazionalità, come spiega lei calabrese, anche se trapiantato da anni al Nord, il successo di Salvini al Sud, dopo anni di feroce polemica antimeridionalista?
C’è, nella nostra gente, una tendenza molto religiosa, un’attesa del miracolo, di qualcosa che scende dall’alto a risolvere, rapidamente, tutti i problemi. Anni di disillusione non hanno mai intaccato questo sentimento di attesa messianica. Diciamo pure che Salvini oggi è una specie di figura sacrale fra molta gente del Sud. Chi arriva al Sud portando promesse di riscatto e sa anche mantenere il legame con la vecchia struttura delle classi dominanti appare il salvatore. I giacobini del 1799 erano troppo radicali per sfondare fra i contadini del Mezzogiorno. Garibaldi riuscì solo all’inizio a incarnare questa figura salvifica. Oggi, 22 gennaio, a Serra San Bruno, luogo devozionale della Calabria c’è una gran folla ad ascoltare Salvini, il nuovo Gattopardo. È una specie di Padre Pio al quale, fra l’altro, somiglia vagamente. Naturalmente dietro queste speranze c’è un passato di oppressione e una sofferenza che cerca il suo riscatto.

Torniamo alla realtà emiliana. Lei ha polemizzato con le Sardine, che non hanno tenuto in considerazione il vostro gruppo per la piazza di domenica scorsa. Qual è l’oggetto del contendere?
Nessuna polemica e nessuna contesa. Noi eravamo in piazza, fra i manifestanti, come persone di sinistra che vogliono che l’Emilia continui a essere governata dal centro sinistra. Non era importante che sul palco ci fosse la nostra band, che si era proposta. L’organizzazione ha fatto mancare la Calabria che pure voterà domenica, in quella piazza meravigliosa, e la Calabria pur non essendo al centro del dibattito politico nazionale, per motivi evidenti, non è una terra da dimenticare. È un pezzo d’Italia che sta affondando sotto il peso di problemi giganteschi, pervasa dalla criminalità organizzata. Se sul palco ci fosse stato Mimmo Lucano, avremmo taciuto. Ma della nostra terra non si è parlato proprio. Io amo le Sardine e sono loro grato per il lavoro straordinario di questi ultimi due mesi. Hanno dato un colpo importante a quel sentimento d’inconscia rassegnazione che attraversa il popolo della sinistra Hanno dato un contributo impagabile a mettere da parte pregiudizi ideologici e di schieramento ma domenica si sono concentrati troppo sull’Emilia, dimenticando la Calabria, terra disperata, lo voglio ripetere. È una critica costruttiva la mia, non una presa di distanza. Gli obbiettivi sono comuni.

Per chi voterà il PNP, alle elezioni emiliano romagnole?
Voteremo per liste minori che appoggiano Bonacini, che è oggettivamente, il punto centrale della difesa, la trincea non valicabile. Vorremmo dar voce a realtà minori della sinistra, ma non crediamo nelle divisioni. Ogni gruppo ha una sua ricca bellezza da portare alla causa comune. Non è il tempo di divisioni e di coltivare gli orticelli. L’Italia e il mondo di oggi non ci permettono di restare chiusi nelle nostre chiesuole.

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