Vinicio Capossela, “mercante” di ballate per salvarsi l'anima

Il musicista ha appena pubblicato il nuovo disco “Ballate per Uomini e bestie”: filastrocche, folk, punk, poesie, demoni e santi

Vinicio Capossela, “mercante” di ballate per salvarsi l'anima
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27 Maggio 2019 - 12.02


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Marco Buttafuoco

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Ritorna sulle strade Vinicio Capossela, con un nuovo disco, Ballate per Uomini e bestie (La Cupa / Warner Music Italy). Sulla sua bancarella di girovago si trova il solito calderone sonoro fatto di filastrocche, antiche ballate delle isole britanniche, pezzi per banda di paese, con l’aggiunta, questa volta, di punk medievale, di minimalismi elettronici, di rap (la provenienza è sempre dubbia, la merce è molto accatastata). Vicino al pentolone sono esposti libri di poesie (Oscar Wilde, San Francesco) e meditazioni filosofiche, danze macabre, fiabe dei fratelli Grimm e, statue di santi –demoni (Il mite Sant’Antonio, che questa volta trasforma il mondo in un lungo incubo di disastri ambientali e di devastazione mentale) soprattutto, stampe e storie di animali, a cominciare da Uro, il bove primigenio e scomparso che vediamo effigiato nelle grotte francesi di Lascaux, Poi giraffe tristi, poi orsi danzanti in qualche fiera europea, un porco filosofo un po’ epicureo, lupi mannari.

Se chiedete al mercante Capossela (lo riconoscerete da un berretto con una testa d’orso che indossa negli ultimo tempi), che ha impiegato sette anni ad allestire il suo banco, vi dirà che in questi tempi non proprio luminosi occorre anche evitare di “cancellare la relazione con la bestia di natura”, ovvero non dimenticare l’unità dei viventi. Non sembra, a sentirlo parlare, che sia un animalista in senso stretto, se parla di cibo, parla anche di rito e sacrificio. È sempre facondo, il nostro mercante, ci si ferma sempre volentieri a parlare con lui. Certo, divaga spesso, e dopo averci agghiacciato con la descrizione di una peste mediatica che si sta diffondendo attraverso un uso sconsiderato e manicale delle tastiere dei pc ( un uso addirittura così crudele, da indurre al suicidio una ragazza ) ci racconta la storia di Cristo molto umano e molto triste, quella di una bella signora d’altri tempi, con gli occhi di selvaggia fiera.

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Mentre racconta intorno a lui si affaccendano i suoi bravi collaboratori, fra i quali si riconosce facilmente un tale Marc Ribot, anche lui noto girovago delle fiere musicali . Mescolano con cura i tanti, saporosi ingredienti del calderone. D’altronde storie e immagini sono apprezzabili solo se delibate insieme. Nelle vecchie fiere di paese c’era sempre un girovago con una scimmietta sapiente e un organetto. La scimmia distribuiva, biglietti che narravano la sorte di ciascuno. Qui fra i tanti animali esposti (ben ventisette, dice il mercante) la scimmietta non c’è. A raccontare il futuro, desolato, ci sono solo due carillon un po’ punk, con echi medievali l’uno (La peste) e orientaleggianti l’altro (La tentazione di Sant’Antonio), che dipingono un futuro già arrivato e disumano.

Il mercante è un po’ triste, la sua voce esile, quasi precaria, è più malinconica del solito, mentre presenta il suo vasto trovarobato poetico musicale. Ma, alla fine, qualcosa che fa sperare bene si trova. Si tratta della storia sgangherata (tratta da una favola dei Fratelli Grimm) di quattro animali, un asino, un gatto, un cane e un gallo. Essendo diventati vecchi i loro rispettivi padroni vogliono liberarsi di loro. Fuggono e si ritrovano sulle strade. Maturano un progetto: quello di diventare musicanti della banda municipale di Brema. Trovano ostacoli sul loro cammino, ma la loro musica dissonante e improbabile, li tira fuori dai guai. Una bella metafora dei tanti esuberi della società di oggi, compresi, probabilmente, gli intellettuali, giocata su un ritmo di marcetta esilarante. Andremo a suonare a Brema (anche se i socialisti tedeschi, ahimè, l’hanno appena persa), “ di meglio della morte troveremo qualcosa da fare” . Non è l’Internazionale, d’accordo, ma tira su il morale, induce all’ottimismo. Andrebbe suonata nelle piazze della sinistra.

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