Il 25 aprile portoghese, la liberazione dalla dittatura con una canzone

“Grandola Villa Morena” fu il segnale convenuto ed è diventata il simbolo della rivoluzione gentile del 1974. Narrata anche da un film con Stefano Accorsi

Il 25 aprile portoghese, la liberazione dalla dittatura con una canzone
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25 Aprile 2019 - 12.02


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di Marco Buttafuoco

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Quattro giovani uomini sono intenti a cambiarsi d’abito in una macchina, in un parco pubblico. Sono ufficiali dell’esercito che si apprestano a occupare, con finte divise dell’aviazione, una delle radio di Lisbona. È la notte del 25 aprile del 1974. Nelle caserme portoghesi tutto si sta preparando per l’ora decisiva. Le truppe si schierano. I soldati, arringati dagli ufficiali, capiscono che è finalmente giunto il momento di mettere fine alla dittatura e alla terribile guerra coloniale che il Portogallo conduce in Africa.
Alla macchina dei quattro si avvicinano due omosessuali in cerca avventure occasionali. Gli occupanti della macchina reagiscono alle avances. Sembra che tutto degeneri, ma dalla radio accesa dell’auto, che stava trasmettendo una musica sentimentale, si diffonde, improvvisamente una nuova canzone. La voce è maschile, il tema, mai variato, è una marcetta un po’ malinconica, Grandola Villa Morena. I quattro smettono immediatamente di litigare con i molestatori, rimangono attoniti. Si commuovono. La scena cambia: in una caserma alle porte della capitale ora un gruppo di ufficiali canta la stessa canzone ascoltando la radio. Il loro leader è il trentenne capitano Jose Fernando Salgueiro Maia. A un sottoposto ancora ignaro che gli chiede cosa significhi quella musica, risponde che è il segnale dell’insurrezione.

Sono scene di un film, molto bello e poco conosciuto, girato nel 2000 da Maria de Medeiros, Capitani d’Aprile, con Stefano Accorsi nei panni del capitano Salgueiro Maia. La pellicola (si trova in rete anche in italiano) racconta le ventiquattro ore immediatamente successive all’insurrezione: il propagarsi della rivolta, la sporadica resistenza dei fedelissimi del regime salazariano, i garofani nei fucili, la liberazione dei prigionieri politici, la consapevolezza che molti dei giovani ufficiali protagonisti saranno presto riassorbiti dalle logiche politiche, forse dimenticati. In effetti, lo stesso Maia, eroe impolitico di quelle giornate, finì modestamente la sua carriera in presidi sperduti e uffici di nessuna importanza (morì poi nel 1992).

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Grandola Villa Morena era un segnale perfetto per far partire la macchina militare. Ufficialmente era proibita, anche se si trovava nei negozi di dischi (il regime era oramai alla fine e incapace di controllare la società portoghese come aveva fatto per decenni). L’autore Jose Alfonso, che allora aveva quarantacinque anni, aveva subito diverse persecuzioni dal regime. Più volte incarcerato, i suoi dischi erano osteggiati e non erano trasmessi dalle radio; aveva anche dovuto lasciare la sua cattedra al liceo di Setúbal. La stampa, per non incorrere nella censura era costretta a scrivere il suon nome alla rovescia; Esoj Osnofla. Nel 1964 Alfonso, che militava nel PCP clandestino, aveva tenuto un concerto alla Società Operaia e Cooperativa do Grandola. Colpito dalla serietà e dall’organizzazione di quel sodalizio (anch’esso in guerra continua con la dittatura), lo aveva omaggiato con una canzone, incisa anni dopo. Il testo per sfuggire alla censura, non poteva che essere generico, un po’ retorico.

Grândola, città dei Mori
terra di fratellanza
è il popolo che più comanda
dentro di te, o città….
A ogni angolo un amico
su ogni volto l’uguaglianza…..
E all’ombra d’una sughera
che non sa più quanti anni, ha
giurai d’aver per compagna.
Grândola, la tua volontà.
Traduzione di Riccardo Venturi.

Fraternità, uguaglianza: mancava la libertà, parola impronunciabile fino al 1974. C’erano nel testo anche simboli popolari e storici (le querce da sughero, le città moresche). La musica poi aveva quel blando ritmo di marcia, adatto per una rivoluzione che non voleva, programmaticamente, spargere sangue portoghese. Niente di meglio per un’azione che nasceva senza un chiaro orientamento ideologico e al quale partecipavano uomini di tante estrazioni politiche. Le divisioni, molto aspre, sarebbero arrivate nei mesi seguenti.
Un commosso Josè seppe del destino della sua canzone solo dopo qualche giorno. Morì nel 1987. Le sue canzoni sono ancora ascoltate e trasmesse dalle radio, soprattutto da quelle della sinistra lusitana.

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Per alcuni anni il Portogallo divenne il faro e il mito della gioventù ribelle, e divisa, dell’epoca. Nanni Moretti ricordò in Bianca, come ci fossero veri e propri pellegrinaggi politici in riva al Tago; (“andavamo tutti a vedere un colonnello comunista che si chiamava Otelo de Carvalho”). Poi, ben presto, il mito si stinse. Giustamente lo storico Mauro Canali ha detto che, con l’ingresso in Europa, la politica ribollente, convulsa del Portogallo post 1974 è rimasta un lontano ricordo storico. Tutto si è, nel bene e nel male, uniformato.

Grandola è tuttora un simbolo. Già subito dopo la rivoluzione, un’interpretazione di Amalia Rodrigues, retorica e ridondante, aveva forse tentato di trasformarla in un surrettizio inno nazionale. L’ha cantata Joan Baez, l’ha incisa Charlie Haden con la sua Liberation Orchestra, l’ha citata Carlo Saura in Fados, è stata tradotta in varie lingue. La versione più emozionante è quella di un gruppo di cittadini che la cantano in parlamento, in piedi, interrompendo il Premier Passos, nel febbraio del 2013, in segno di protesta contro le politiche di austerità della Troika; quando interviene la polizia, i contestatori si alzano e se ne vanno senza protestare.
I pochi giorni di quella rivoluzione” gentile”, quasi incruenta (furono pochissimi i morti, e causati dalla reazione di un gruppo di ufficiali della polizia politica del regime) sono forse l’ultimo vero mito della sinistra europea.

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