di Giuseppe Cassarà
Ho avuto davvero l’istinto di afferrare il telecomando e zittire la Tv ieri sera, quando Bisio, Baglioni e la Raffaele hanno cominciato a cantare ‘Il coccodrillo come fa’. Poi, quando ho capito che Claudio Santamaria era stato chiamato per declamare ‘Nella vecchia fattoria’, in prima serata, su Rai 1, in Eurovisione, lì i miei impulsi omicidi hanno raggiunto l’apice. Non bastava spegnere, no, bisognava distruggere, restituire all’oblio questa pantomima imbarazzante cui ogni anno, puntuale come le tasse e la morte, ci costringe Mamma Rai.
Non costringe nessuno, a dire il vero. Ma, parliamoci chiaro, Sanremo è Sanremo e tutti, chi più, chi meno, un’occhiata gliela danno, più che altro per capire a che punto siamo arrivati. Perché non c’è sondaggio che tenga, se si vuole davvero capire l’Italia bisogna guardare il Festival di Sanremo. E, come sempre, gli autori sono riusciti a cogliere lo spirito del paese.
Una casa di riposo: si dice ogni anno, ma quest’edizione è più vero che mai. E della casa di riposo l’Italia ha tutti i crismi, non soltanto quelli inerenti alla musica, che a Sanremo c’entra poco e niente. Tralasceremo infatti che tutte le proposte ‘giovani’ di Baglioni sono finite nella ‘zona rossa’ bocciate dalla giuria demoscopica composta, probabilmente, da vecchiette che alla vista di Achille Lauro hanno tirato fuori il rosario. Chiuderemo un occhio sul fatto che Il Volo sia finito invece nelle prime posizioni, a conferma che siamo esattamente quello stereotipo di pizza e mandolino da cui cerchiamo disperatamente di fuggire. Anzi, la musica dimentichiamocela tutta, perché anche quelli che potevano essere delle belle scommesse, come Motta o gli Ex-Otago si sono adeguati al linguaggio sanremese e hanno propinato la minestra riscaldata dei sentimenti in si bemolle. Si salva solo Silvestri, che con Rancore ha offerto l’unico, vero momento moderno di un festival che alla sua 69esima edizione puzza più che mai di decomposizione. Con buona pace della “armonia” auspicata da Baglioni a inizio serata.
Ah, ecco, Baglioni. Incartapecorito come se lo avessero scongelato due ore prima, il padrone di casa non perde occasione, come l’anno scorso, di duettare con ogni ospite, costringendo Giorgia a cantare quel Come saprei che probabilmente, se l’avesse davvero saputo, sarebbe stata a casa. Ma la vera delusione sono stati i due co-conduttori.
Claudio Bisio e Virginia Raffaele erano un po’ la speranza di chi, come me, per lavoro il Festival lo deve guardare. Memore di Zelig e della splendida conduzione della Raffaele qualche anno fa, ero convinto che ci sarebbe stato uno slancio, un guizzo, qualcosa che destasse l’attenzione che, dopo cinque maledette ore, comincia a calare.
Ma la parola d’ordine di questo Sanremo sembra essere “rincoglioniamoli”: ed erano visibilmente imbarazzati, entrambi, costretti a cantare le canzoni per bambini e a combattere con problemi di audio da fiera di paese. Rincoglioniamoli tutti, che l’Italia di questo ha bisogno. D’altronde, lo ha reso chiaro Bisio nel suo patetico monologo sul Baglioni sovversivo, contornato da una meravigliosa punta di razzismo (i migranti che ballano Hakuna Matata) che ha suscitato le condiscendenti risatine di un pubblico altrimenti inerme di fronte allo sfacelo. Era chiaro l’intento di questi pochi, imbarazzanti minuti: cercare di far ridere, che ai problemi c’è sempre tempo per pensarci. E a ricordare il devastante monologo di Favino dell’anno scorso, vero atto di coraggio in un’Italia non ancora preda della paura di Matteo Salvini, capiamo che in un anno le cose sono cambiate eccome.
È stata una prima serata surreale, in punta di piedi, come se tutti avessero paura di sbagliare. Non vuole problemi Baglioni, lo ha detto lui stesso per scherzo ma neanche tanto, mentre con Santamaria improvvisavano una versione ‘vegana’ della Vecchia Fattoria (a scriverlo sembra una presa in giro, ma è successo sul serio): andiamo avanti, facciamo sto Festival e vediamo di portare a casa la settimana senza far incazzare nessuno. Persino Teresa De Santis, direttrice di Rai 1, quando Bisio l’ha presa sottobraccio per un saluto istituzionale, era a disagio. E se avesse potuto, anche lei sarebbe rimasta a casa, lontana da questa tomba televisiva.