Ste. Mi.
Intitolare un festival di musica “Dialoghi ai confini della libertà” non è uno svolazzo poetico: è un atto culturale e politico perché pone l’accento sulla necessità di dialogare invece di alzare muri e, forse inconsapevolmente come capita con le arti, di come oggi almeno buona parte d’Europa stia attraversando una stagione “ai confini della libertà” (in paesi come l’Ungheria hanno forse valicato quei confini). Il Maggio musicale fiorentino, il più antico festival italiano intorno alla musica classica e affini, nell’edizione 2018 adotta quel titolo per un programma dal 5 maggio al 13 luglio che sconfina più volte nella danza intesa anche come atto collettivo e nel teatro.
Lo firma in primo luogo il sovrintendente (da un anno) Cristiano Chiarot che scrive: “La necessità di essere liberi e la riflessione sulle circostanze che le si oppongono sono tra i motivi ispiratori del LXXXI festival del Maggio”. E che il senso della libertà degli artisti, e di tutti i cittadini, forse non vada dato per scontato lo trasmette la scelta di aprire la rassegna con l’opera diretta dal direttore del Maggio Fabio Luisi Cadillac di Paul Hindemith, il compositore “che fu costretto a lasciare la sua Germania perché in conflitto con il nazismo”, ricorda il sovrintendente.
Accentua il carattere politico il sindaco e presidente della Fondazione del Maggio Dario Nardella quando suggerisce che il titolo “interpreta lo spirito della città che ricostruisce ponti che altri hanno distrutto” (altro rimando: nel 1944 i tedeschi in ritirata fecero saltare tutti i ponti fiorentini tranne Ponte Vecchio). “In un’epoca in cui si costruiscono muri la musica è tutt’altro che un confine” (e ogni rimando a Trump o ai leghisti dell’esponente Pd probabilmente non è casuale).
La rassegna quest’anno coinvolge la gran parte delle istituzioni musicali e di spettacolo della città e ha appuntamenti anche in Toscana, tanto per restare nel tema degli sconfinamenti. Apre il calendario, significativamente, una lectio magistralis del giornalista Bernardo Valli sul ‘900. Tra gli appuntamenti: Riccardo Muti dirigerà un Macbeth di Verdi, una coreografia ideata da Virgilio Sieni coinvolgerà trecento persone; viene ripescato un titolo inconsueto nel repertorio come la Dafne di Marco da Gagliano (1582-1643) dagli albori del melodramma; partecipano a vario titolo e opera il coreografo-ballerino Baryshnikov; il compositore-direttore d’orchestra Giorgio Battistelli, Elio (proprio il cantante delle Storie Tese ora impegnati nel tour d’addio), l’attore Alessio Boni, il regista-autore Giancarlo Cauteruccio, direttori come John Axelrod e James Conlson. L’incognita che tutti sperano venga fugata sarà sull’amato Zubin Mehta: il direttore onorario a vita a causa di un intervento chirurgico 82enne è in convalescenza e ha dovuto rinunciare a quattro concerti ora in programma a breve. In un messaggio il maestro del podio ha garantito che non salterà gli appuntamenti. Infine: il disegno del festival è affidato a Mimmo Paladino riprendendo la tradizione di un rapporto diretto con i principali artisti italiani del tempo.