Il “Duca” è ancora tra noi: la modernità di Duke Ellington

Recensione del concerto di Enrico Pieranunzi e Rosario Giuliani al Cotton Club di Roma

Il “Duca” è ancora tra noi: la modernità di Duke Ellington
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19 Febbraio 2018 - 17.29


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di Giuseppe Costigliola 

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Il Cotton Club, accogliente locale capitolino sede di concerti jazz, sta alzando l’asticella. Sabato 17 febbraio vi si sono infatti esibiti due protagonisti indiscussi del panorama jazzistico italiano che da anni portano avanti un fecondo sodalizio, il pianista Enrico Pieranunzi e il sassofonista Rosario Giuliani. Il duo ha suonato brani tratti dal suo ultimo disco, Duke’s Dream, omaggio meditato ad una delle immortali icone del jazz, Duke Ellington.

Il concerto si è aperto con due celeberrimi standard, “Isfahan” e “Satin Doll”, ed è stato subito chiaro che non avremmo assistito alla mera riproposizione di classici, ma ad un’ardita riscrittura che, proprio nel suo discostarsi dall’originale, ne mette in rilievo la modernità. Gli arrangiamenti pianistici di Pieranunzi, non di rado aspri e spigolosi, affondano nei meandri delle possibilità ritmiche del pianoforte, mentre una splendida mano sinistra cesella frastagliate costruzioni percussive su cui si ergono arpeggi atonali, note e accordi spezzati, in una elaborata rilettura degli standard ellingtoniani che mette a frutto un percorso di ricerca armonica e compositiva lungo quasi mezzo secolo, durante il quale il pianista romano ha firmato oltre trecento brani, collaborando con figure di rilievo del panorama jazz internazionale, da Chet Baker a Lee Konitz, da Paul Motian a Charlie Hayden, solo per citarne alcuni. Siamo insomma nel cuore di questo linguaggio unico, il jazz, nel quale ogni interpretazione diventa motivo di omaggio e tributo, e contemporaneamente originale composizione, in un dialogo fecondo con la tradizione e le sue continue evoluzioni. Agli standard di Ellington (“Day Dream”, “Sonnet for Caesar”, I got It Bad”) si alternano brani firmati da Pieranunzi, che sin dai titoli (“Duke’s Dream”, “Duke’s Atmosphere”, “Trains”, scritto con Giuliani) intendono evocare una ben definita atmosfera, mettendo in scena quell’invisibile filo rosso che lega la peculiare eredità swing della musica afroamericana e i suoi molteplici sviluppi creati dall’incontro con la cultura musicale occidentale, forse il cuore del progetto portato avanti dai due jazzisti italiani. Nelle esecuzioni trovano spazio gli assoli di Giuliani, che ne denotano lo stile ormai maturo, modellato su Art Pepper e John Coltrane, le qualità ritmiche e il sound moderno. Egli stesso compositore e arrangiatore, Giuliani ha raggiunto un considerevole livello non soltanto come interprete.

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La performance è stata poi arricchita dalle sapide notazioni di Pieranunzi, che ha contestualizzato i pezzi nel loro percorso storico, raccontando aneddoti e sottolineando lo straordinario sodalizio artistico tra Ellington e Strayhorn. Il pianista romano ha dimostrato di padroneggiare il linguaggio quanto la tastiera, e talvolta i suoi ricordi sono sfociati nell’elegiaco, come nel commosso racconto del concerto cui assistette nel 1971, quando Duke Ellington si esibì con la sua orchestra (in cui figuravano ancora alcuni elementi che suonavano con lui dagli anni Venti) al Piper di Roma. La prima parte del concerto si è chiusa con una versione destrutturata di “Take the A Train”, che ha messo in rilievo le infinite possibilità interpretative del pezzo di Billy Strayhorn.

Che il concerto abbia voluto presentare la musica di Ellington in tutta la sua complessa eterogeneità è stato evidente dalla scelta dei brani eseguiti nella seconda parte. Ai noti standard si sono infatti aggiunti alcuni pezzi molto diversi tra loro per genesi e struttura compositiva, come il solenne “Come Sunday”, e l’autoironico “Take the Coltrane”, frutto della singolare collaborazione del “Duca” con un musicista per molti versi agli antipodi da lui, l’avanguardista John Coltrane.

Come spesso avviene nei concerti a due, sono stati frequenti i duetti tra gli strumenti, con la tessitura di dialoghi contrappuntistici che hanno chiarito il modo in cui sono stati affrontati i temi originali, l’originalità della reinterpretazione armonica e delle invenzioni melodiche. Nel processo di re-immaginazione, di attualizzazione della musica di Ellington, i brani acquisiscono note timbriche e coloristiche dal sapore peculiarmente moderno: sembra davvero di viaggiare su quel treno che dal passato si dirige verso il futuro della musica, e che lega simbolicamente il concerto ed il progetto musicale su cui Pieranunzi e Giuliani lavorano da tempo, il cui nucleo è la ricerca di un’espressione autentica, in grado di mettere a frutto e allo stesso tempo di trascendere la tradizione musicale di riferimento.

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In definitiva, è stata una serata musicale da ricordare. Al di là della notevole performance di due musicisti di assoluto talento, l’evento ha presentato la musica jazz per quello che è sempre stata: un percorso unico di formazione di identità umana e culturale, ed anche di rimemorazione storica.

 

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