70 anni da Santana: l'inventore del latin rock

Festa di compleanno per il grande chitarrista messicano. Da Oye como va a Corazon espinado, la storia e i successi dell’artista che ha inventato il latin rock

70 anni da Santana: l'inventore del latin rock
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Francesco Troncarelli Modifica articolo

20 Luglio 2017 - 11.19


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Tra le decine di chitarristi con una marcia in più che il rock ci ha regalato, Carlos Santana è quello più riconoscibile subito. Il suo è un suono inconfondibile, che lo ha reso diverso dagli altri e che gli ha dato non solo la fama ma anche il successo internazionale.

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Un talento vero ed unico che compie 70 anni e che con i suoi concerti ed esibizioni dimostra la validità dell’intuizione che lo ha portato nella leggenda, l’invenzione del latin rock. Un nuovo modo di suonare che il mondo scoprì all’improvviso, fatto non solo di ritmi latini mescolati nella salsa, blues e fusion, ma anche dell’uso debordante di ogni genere di percussione e di sezioni ritmiche piacevolmente ipertrofiche.

Un genere che si è portato dietro in tutte le sue band ma che ha avuto il battesimo di fuoco a Woodstock, il celebre festival svoltosi nello stato di New York all’insegna di “peace and rock music”, quando, poco più che ventenne, pressochè sconosciuto al grande pubblico e con il primo album che ancora doveva uscire nei negozi, firmò una delle più celebri performance strumentali di quella tre giorni rimasta nella storia, con l’incendiaria maratona (undici minuti) di “Soul Sacrifice”.  

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Figlio di musicisti, Carlos era nato in Messico, si era fatto le ossa suonando nei club di Tijuana, la storica città di confine con la California e poi era cresciuto a San Francisco in piena “Summer Of Love”. Dopo aver fatto svariati mestieri come il lavapiatti e il musicista da strada, si era fatto notare al “Fillmore West”, quotato locale di Bill Graham, colui che lo porterà a Woodstock.

L’esibizione al festival insieme a nomi come Joan Baez, The Who, Grateful Dead, Joe Coker, Ten Years After, Jimy Hendrix, Canned Heat, per citarne solo alcuni, fu la sua fortuna. Nel giro di ventiquattro ore passò da perfetto sconosciuto a star. Era il 1969 e quell’esplosiva miscela di rock, blues, soul e ritmi latini ebbe un successo clamoroso.

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Santana e il suo gruppo iniziarono a inanellare una serie di successi incredibili, arrivati ai giorni nostri con la freschezza e il travolgente ritmo del primo ascolto. Pezzi entrati nelle classifiche di mezzo mondo che entusiasmavano i fan: “Oye Como Va”, “Samba pa ti”, “Evil Ways”, “Black Magic Woman”, “Europa”. Un elenco interminabile di brani in cui Carlos dominava con i suoi irresistibili assoli sulla fedele compagna di viaggio Gibson coi tasti scavati, per poter facilitare l’utilizzo del vibrato e del bending.   

Con il grande e dorato successo degli anni ’70, nella band cominciarono ad aprirsi le inevitabili crepe, classiche di quel periodo e di quegli ambienti in cui s’imbatterono gran parte dei gruppi dell’epoca. Come dire droga, liti sulla linea musicale da prendere, soprattutto il desiderio del leader di non rimanere confinato in una formula e di assecondare la sua passione per il jazz e lo spiritualismo.

Nasce in questo contesto l’incontro con John McLaughlin, con cui produce il famoso “Love Devotion and Surrender” che precede l’album con Alice Coltrane, vedova di John.

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Il baffuto Carlos che nel frattempo è diventato un seguace del guru Sri Chinmoy, per un lungo periodo volta così le spalle al grande successo e ai gusti commerciali delle major discografiche, realizzando album più vicini al jazz e alla fusion che al rock.

Del resto non aveva fatto niente altro che approfondire la sua passione per il jazz suonando con i suoi idoli Herbie Hancock, Ron Carter, Wayne Shorter e Tony Williams (ovvero i componenti del mitico quintetto di Miles Davis degli anni ’60), coltivando in questo modo più la critica che il pubblico. Una sorta di lunga pausa di riflessione e di passione pura, che lo allontanò dal rock e ovviamente dal successo e dalla popolarità che lo aveva lanciato ovunque come virtuoso della chitarra.

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Ma come era avvenuto per il suo esordio folgorante, il grande ritorno di Santana sulle scene internazionali è capitato quasi all’improvviso nel 1999, trent’anni dopo il botto iniziale, grazie all’idea del manager discografico Clive Davies, lo stesso cioè che gli aveva fatto firmare il primo contratto segnandone il destino.

E’ di Davies l’idea di fare un album con partecipazioni di grandi star come Eric Clapton, Lauryn Hill, Wyclef Jean, Dave Matthews, Manà. L’album si intitolava “Supernatural” e raggiunge subito il primo posto della classifica di Billboard. Conteneva tra i vari pezzi, tre hit clamorose lanciate poi come singoli. La prima è “Smooth”, un brano scritto e cantato con Rob Thomas dei Matchbox Twenty, l’altra è “Maria Maria”, canzone che ha dato il nome a una catena di ristoranti messicani fondata dal furbo Carlos e poi il vendutissimo “Corazon espinado”, ripreso da molti artisti in tutto il mondo.

L’album ha venduto 15 milioni di copie solo negli Stati Uniti, ha vinto otto Grammy più tre Latin Grammy ed è a tutt’oggi il maggior successo commerciale della carriera di Santana che da quel momento è tornato clamorosamente e a pieno titolo, al centro della scena, godendosi una dorata routine di alto livello di cui hanno fatto e fanno parte tra l’altre cose, un progetto con Herbie Hancock, un’infinità di collaborazioni (da Michael Jackson ad Eros Ramazzotti, da Shakira a Tina Turner), l’impegno con ‘l’associazione benefica “Milagro” fondata da lui ed anche le nozze (le seconde dopo il divorzio dalla moglie Deborah dopo 34 anni di matrimonio) con la talentuosa batterista Cindy Blackman affermatasi con Lenny Kravitz, con cui vive a Las Vegas e con cui festeggerà i suoi primi 70 anni. Samba per loro.

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