Una fine incredibile. Se ne è andato nel giorno che tutto il mondo lo stava riascoltando per l’ennesima volta, nel giorno di Natale, della festa, della gioia sottolineata anche da quella canzone che lo aveva reso celebre a livello planetario. Un destino beffardo e irriverente, che neanche il più cinico degli scrittori avrebbe pensato per un romanzo sulla sua vita.
Mentre molti stavano aprendo youtube (oltre 220 milioni di visualizzazioni) e altri ascoltavano il suo Cd, George Michael icona di una generazione e popostar dalla vita travagliata, moriva per un arresto cardiaco a soli 53 anni proprio nel giorno che aveva cantato con allegria, diventato così una delle icone della musica internazionale.
Biondo con la zazzera imponente e ondulata, la voce alta, suadente capace di acuti aggressivi ma anche dolcissimi, Michael irruppe nelle scene insieme all’amico e socio Andrew Ridgeley, gli Wham!, con un video memorabile che fece subito centro, “Last Christmas”. Era la metà degli anni ’80 è il pezzo esplose letteralmente nelle Charts di tutto il mondo, imponendo il pop dei due giovani ragazzi inglesi agli adolescenti di tutta Europa e di tutto il mondo.
Fu un exploit strepitoso che aprì al duo le porte del successo e che li proiettò nella storia del costume di quegli anni ruggenti insieme ai Duran Duran e gli Spandau Ballet, con i quali interpretarono la colonna sonora del tempo, intercettando umori, amori, mode e modi di una gioventù senza troppi pensieri e felice di vivere la loro quotidianità con toni leggeri.
Gli Wham pubblicarono quattro album in quattro anni, collezionando un primo posto dietro l’altro in classifica, con singoli immediati e di facile ascolto, da “Club Tropicana” a “Wake Me Up Before You Go Go”, a “Careless Whisper”oltre alla suddetta “Last Christmas”.
Un’onda travolgente e rassicurante di cui lo scanzonato George, nato a Londra da padre greco-cipriota (registrato all’anagrafe londinese come Georgios Kyriacos Panayiotou), insieme all’altro bello di quel periodo Simon Le Bon dei Duran Duran, erano i leader amatissimi e acclamatissimi.
La sua è stata una carriera fantastica, proseguita con picchi clamorosi di successi anche da solista, ma è stata anche una carriera accompagnata da una vita dove gli eccessi non sono mancati, segnandone la stessa esistenza. Il boom internazionale che lo aveva elevato a popstar per lui era una sorta di prigione dorata da cui scappare spesso e volentieri, perciò col tempo Michael rallenta, a differenza degli esordi vissuti a mille.
E così gli album inediti saranno solo cinque in meno di vent’anni, dall’acclamato “Faith” per passare al solido “Patience”, anno 2004 con in mezzo tanti dischi buoni e sempre di livello come le cover di “Somebody to Love” dedicata allo scomparso Freddie Mercury o la “Roxanne” dei Police, che nella sua versione acquista toni ancora più intensi grazie alla sua formidabile voce.
Ma per gli invadenti e scandalistici tabloid inglesi, il biondo George fa più notizia per le vicissitudine in cui puntualmente si ritrova. La guida in stato di ebbrezza, il possesso di stupefacenti, il fermo per le avance a un poliziotto in un bagno pubblico che svela quella omosessualità malcelata (e solo più tardi dichiarata) perchè doveva recitare il ruolo di sex symbol a tutti i costi.
Gli ultimi anni li trascorre in silenzio, o meglio, trascurato dalla stampa che lo aveva perseguitato a lungo. Nel 2011 rischia la vita a Vienna per una polmonite, mentre l’anno successivo va in scena con l’ultimo tour e la performance alla chiusura delle Olimpiadi londinesi in un tripudio di folla. Altri segni di vita pubblica, l’album “Symphonica”, ripreso dalla tournée precedente, che si aggiunge al suo ricco e interessante songbook di una carriera di trentacinque anni . Ora la notizia della sua morte nel giorno della invocata serenità da parte di tutti.
Idolo di una generazione cresciuta ai ritmi dei video di Mtv, tra giacche con spalline esagerate, capelli fluenti e tanta spensieratezza di base, George se ne va in punta di piedi dopo aver venduto cento milioni di dischi e regalato emozioni a non finire al suo pubblico e non sapremo mai se il suo “Last Christmas” sia stato felice come avrebbe voluto o tormentato come gran parte della sua vita.
Quello che è sicuro è che lo sconforto per la sua perdita è tanto. Il suo nome si aggiunge alla lunga lista di artisti di valore assoluto come David Bowie, Prince, Keith Emerson, Greg Lake, Leonard Cohen per citarne solo alcuni, che sono scomparsi e hanno reso questo 2016 l’annus horribilis della musica. Facciamo nostro perciò il tweet di Madonna che nel salutare l’amico George, si domanda se sarà il caso di mandare a quel paese (traduzione eufemistica) questo maledetto musicalmente parlando 2016.