Dalla musica salvata nello smartphone, cordone ombelicale nelle traversate verso l’Europa, a jam session live in salsa elettro-tribale nei centri immigrazione. “Non semplici concerti. Le nostre sono esibizioni corali che chiamano in causa tutti. In 8 mesi abbiamo suonato con l’Africa intera, oltre 800 persone provenienti da Mali, Sudan, Nigeria, Eritrea, Gambia, Senegal, ma anche Iraq, Afghanistan, Pakistan”. Perché “Stregoni”, il progetto di Johnny Mox (al secolo Gianluca Taraborelli), 36 anni, e Above The Tree (all’anagrafe Marco Bernacchia), 37, è un viaggio sulle rotte dei migranti attraverso la musica, per raccontare quel che accade “non in mare, non ai confini, ma nelle nostre città, dove ogni giorno sfioriamo migliaia di migranti di cui non sappiamo quasi nulla, così come poco sanno loro di noi”, spiega Mox.
E allora, a far da collante tra mondi che spesso si guardano senza incontrarsi, interviene il linguaggio universale per eccellenza, fatto di note, ritmo e percussioni, a partire da un oggetto, il telefono, indispensabile per riuscire ad arrivare in Europa: “Abbiamo deciso di conoscere chi arriva nel nostro Paese andando oltre gli stereotipi e ritratti macchiettistici. Incontriamo i ragazzi nei centri di accoglienza e chiediamo loro di portarci una canzone contenuta nei loro cellulari, strumenti di salvezza, troppo spesso strumentalizzati dagli ultras dell’ignoranza di casa nostra. Poi ne estrapoliamo un frammento, lo mandiamo in loop e lo usiamo come base cui si aggiungono via via nuovi ingredienti. Il risultato è una canzone creata ex novo grazie ai contributi di tutti i partecipanti” continua Johnny.
Stregoni 2
Insomma, uno spettacolo di improvvisazione “a puntate”, mai uguale a se stesso, partito da Trento, città natale di Mox, e che ha collezionato finora oltre 10 date italiane, nei centri profughi di Verona, Padova, Milano, Roma, Viterbo, Latina, Finale Emilia, varcando anche i confini nazionali. L’ultima tappa del tour (da cui nascerà un documentario entro la primavera del 2017) è stata, un mese fa, Malmo, in Svezia, dopo Parigi, Bruxelles, Amsterdam, Amburgo e Copenhagen. “Ogni esperienza è unica e irripetibile. Non cerchiamo mai di scaldare l’atmosfera, lasciamo che le cose vengano da sé. Quel che ci interessa è far vedere che le persone si vengono incontro, al punto che quando si inizia a suonare tutti insieme è difficile smettere”.
La scintilla per il progetto scattò nella primavera del 2015, quando Johnny e la sua band furono invitati a tenere un concerto in un centro profughi a Trento. “Iniziai a tamburellare su una sedia, in un attimo tutti mi seguirono a ruota. Fu un’improvvisazione bellissima. A fine serata due ragazzi ci dissero: ‘Siete degli stregoni, fate le magie’. Insomma, ci diedero il la per continuare. Il nostro obiettivo è quello di aprire porte tra le persone”.
Se la prima fase di “Stregoni” si è appena conclusa, si comincia già a pensare ai prossimi passi: “Ci piacerebbe gradualmente scomparire dalla scena, dando la possibilità ai ragazzi che hanno suonato con noi di utilizzare nome e logo del progetto per organizzare serate di musica nei locali in autonomia”, racconta Johnny, Sarebbe un modo per uscire dal ‘ghetto’ dei centri di immigrazione e impegnarsi in qualcosa di diverso, che possa aiutarli a integrarsi in un Paese nuovo”. (Silvia De Santis)