Mercoledì 6 aprile 2016 passerà alla storia come il giorno della vergogna e dell’arroganza della Rai. Della vergogna e dell’arroganza, ed anche della presunzione. Di Vespa molti, negli anni, hanno detto, magari eccedendo, che ” si, è un …”, ma è un bravo professionista. Ebbene, almeno questo vergognoso 6 aprile 2016 ha sciolto un equivoco. Per giustificare l’ostinazione che ha accompagnato la sua scelta di ospitare Riina junior contro l’ondata di indignazione che ha accompagnato questa intervista, Vespa ha detto che lo faceva per permetterci di “conoscere la mafia, e di conoscerla proprio bene”. Se uno dice questo, due le cose: o è in malafede, o è davvero ignorante, non conosce, e presume di conoscere. Chiamato a scegliere, non so proprio scegliere. Sono costretto a coniugare, per lui, le due possibili motivazioni
Riepilogare le parole di disgusto che hanno accompagnato l’indignazione della maggioranza del Paese sarebbe compito arduo. Pesano più i silenzi. Come dicono a Roma, dal Colle più alto il silenzio è stato pesantissimo. Silenzio, e non ci si poteva aspettare che il silenzio, ma questa volta è stato un silenzio che si fatto sentire. Naturalmente non da chi non ha voluto sentire.
Torna alla mente una foto di Letizia Battaglia. E’esposta, in questi giorni, con tante altre, bellissime e drammatiche, ai Cantieri Culturali della Zisa, a Palermo. E’la foto scattata in un mattino grigio dell’Epifania di tanti anni addietro. Nell’abitacolo di un’auto c’è un uomo trasformato in manichino inerme, snodato e insanguinato. E’Piersanti Mattarella. L’ordine di ucciderlo è arrivato dalla mafia. A sparare killer di quei poteri occulti che da sempre fanno da damigella a Cosa Nostra. Nella foto, tra chi prova a soccorrere Piersanti Matarella, ci sono la moglie, un amico e il fratello Sergio. Mattarella è stato ucciso sotto casa, sono stati loro a correre per primi. E Letizia Battaglia non poteva macare, straordinaria romanziera di una Palermo aperta ripetutamente da una lama affilatissima. Anche questa foto nell’album dei delitti di mafia. Tanti di questi delitti ordinati da Toto Riina, capo sanguinario di quella Cosa nostra alla quale, per sentenza definitiva, è appartenuto il figlio.
Piersanti Mattarella all’epoca era appartato studioso di diritto. Quel giorno, il senso del sacrificio del fratello gli disse che oltre allo studio del diritto, c’era la necessità di prendere il testimone in mano e proseguire la politica di svolta del fratello. Tanti anni dopo, il Quirinale. Scelta significativa, come significativa era stata quella di Pietro Grasso per la seconda carica dello Stato. Entrambi testimoni di una Sicilia della resistenza al terrorismo di Riina e soci.
Ieri, al divampare delle polemiche, non spettava al Quirinale ricordare, valutare, ponderare. Spettava ad altri, a quanti è stato dato il compito delicatissimo di interpretare, custodire e sviluppare il senso del servizio pubblico. Non lo hanno fatto, firmando, di fatto, anche uno sgarbo alle più alte cariche dello Stato, custodi della Costituzione, fiondamento di una democrazia che la mafia di Totò Riina ha ripetutamente provato a sovvertire, a ferire a morte.
La Rai dopo questo 6 aprile della vergogna non sarà più la stessa. Incrinato profondamente il rapporto con il Paese. Dissolta un’altra dose di una fiducia piuttosto provata.
Un amico che, lui si, veramente conosce la mafia ieri sera mi ripeteva e si ripeteva “Perché?”. A distanza, ci ripetevamo “Perché?”. Lo facevamo ricordando assieme, uno ad uno, i morti degli anni più crudeli vissuti dalla Sicilia. “Perché?”