Lazarus. Piastrelle da ospedale. Un armadio socchiuso da cui esce un vecchio spaurito, con i capelli grigi irti in testa, ferito ma bellissimo, bendato, gli occhi di bottoni. Un letto, una scarpa da donna sotto il letto. Una ragazza, che forse è la morte, allunga una mano per ghermirlo. Un sax che urla.
“Guardami, sono in cielo.
Ho cicatrici che non si riescono a vedere.
Non ho niente da perdere.”
Una musica potente, un arrangiamento magnifico, immagini terribilmente dolorose.
E alla fine il burattino tremulo torna a rinchiudersi nell’armadio.
Però con il suo ultimo progetto ha vinto sulla morte. Perché l’ha fatta diventare spettacolo, così la può controllare come il regista con un personaggio che non fa più paura perché è solo un costume vuoto.
E, malgrado il titolo della canzone, lui non risorge. Rimarrà dentro la tomba. Siamo noi che vogliamo credere che basti aprire lo sportello per farlo uscire dall’armadio, bello, giovane; non come lo aveva ridotto il cancro, ma come lo ricordiamo noi.
Certo, uno muore lo stesso. Ma da padrone.
Trionfo della morte.
Non è che per forza vogliamo restare in tema, ma è capitato. Perché lunedì 11, nella sala conferenze dell’ex carcere dei ragazzi al San Michele ci è stata presentata la nuova impresa di Claudio Strinati, serio entertainer dell’arte.
Dieci puntate, ognuna puntata (pardon) su un capolavoro o un artista del passato; e la prima sarà proprio sul Trionfo della morte di Palazzo Abatellis a Palermo.
Ce n’è anche una che, partendo da Giandomenico Tiepolo, il primo fumettista (Strinati dicet), finisce fra i pittori di murales di Tormarancia. “Tutti gli altri sono estinti” dichiara il Prof “questi non saranno immortali, ma almeno sono vivi”.
La serie si chiama Strinarte, RaiCultura, regia di Enzo Sferra, colonna sonora a cura dello stes-so Strinati il quale, anche sulla musica, ne sa una più del diavolo.
Il cannone di mezzogiorno.
Putiferi, licenziamenti, richiami e sgridate per i tempi sbagliati del festeggiamento di capodanno in TV. Si tratta, hanno dichiarato i responsabili, di un’abitudine italiana consolidata, per cui i telegiornali, insieme a molti altri programmi, cominciano un ciuffo di secondi prima dell’ora annunciata (per fare concorrenza alle reti rivali, le quali, furbacchione, lo sanno e rispondono per le rime); e allora, perché farla tanto lunga se il 2016 è partito su RaiUno con un piccolo anticipo?
La precisione svizzera non è certo una virtù italiana, lo dice la parola stessa.
Non per fare i pignoli, ma qualcuno ha mai provato a regolare un appuntamento sull’ora fornita dagli orologi stradali di Roma? Che sono tanti, ma, o sono defunti (il 50%), o puntati a caso, o an-cora più spesso rimasti all’ora legale dell’estate prima, se l’appuntamento è d’inverno; all’ora solare dell’inverno, se l’appuntamento è d’estate. Insomma, inattendibili. Ma c’è di meglio.
Come tutti sanno, il mezzogiorno è segnalato alla città dal cannone del Gianicolo. Qualche tempo fa ci trovavamo affacciati al parapetto della terrazza a guardare l’uscita del pezzo da 149/13, trainato fuori a mano, proprio da lì sotto, da due serventi e un ufficiale.
Caricate! (A salve per fortuna: casa nostra sarebbe proprio sulla traiettoria del proiettile) Puntate! Fuoco! L’ordine viene dato dall’ufficiale il quale verifica il momento dello sparo sul proprio orologio da polso. Uno si aspetterebbe un supertecnologico collegamento elettronico con qualche infallibile osservatorio che dà l’attimo esatto. Invece no.
Forse il suo è stato un gesto involontario che abbiamo interpretato male. Forse siamo capitati il giorno in cui era caduta la linea. Sta di fatto che con i nostri occhi abbiamo visto, e con le orecchie sentito, la città intera sincronizzata sullo Swatch del militare.
Precisione italiana? Romana; soprattutto romana.
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