La Traviata al Teatro Lirico di Cagliari

Premessa doverosa: la sottoscritta è assolutamente di parte. Il post di Francesca Mulas

La Traviata al Teatro Lirico di Cagliari
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8 Novembre 2014 - 10.13


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di Francesca Mulas

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Premessa doverosa: la sottoscritta è assolutamente di parte, in quanto “La Traviata” è una delle opere che hanno il potere miracoloso di farla piangere come una fontana. Non sarà ritenuta dagli studiosi l’opera migliore di Giuseppe Verdi, ma la storia di una prostituta redenta dall’amore che però, per essere degna di entrare nella società perbene, deve rifiutarne di farne parte, tocca corde emotive sensibilissime. Per questo motivo la scelta di inserirla nel cartellone del Teatro Lirico di Cagliari ( in scena da venerdì 7 novembre) è stata particolarmente azzeccata, come dimostra anche l’altissima affluenza di pubblico. Rappresentata per la prima volta al teatro La Fenice dove fu un fiasco, nel 1853, dall’anno successivo, riproposta sempre a Venezia, “Traviata” è entrata di diritto nel repertorio operistico mondiale: anche Cagliari ha un legame particolare con quest’opera, che vide una giovanissima Maria Callas interpretare la protagonista al vecchio Teatro Massimo in una pomeridiana (e unica presenza nella città) nell’anno 1951.
L’allestimento attualmente in scena è stato creato dalla coppia di coniugi Ursel e Karl-Ernst Herrmann, presentato dapprima negli anni ’80 per i Deutsche Oper am Rhein, Theatergemeinschaft Düsseldolf-Duisburg e Théâtre de la Monnaie di Bruxelles, ripreso nel 2007 dal Teatro Regio di Parma e infine comprato oggi dal Teatro di Cagliari.: uno spettacolo sostanzialmente classico, di ambientazione tradizionale. L’aspetto più interessante è che i due hanno seguito letteralmente (anche se con qualche licenza scenica) le indicazioni del librettista Francesco Maria Piave: ad esempio le stagioni sono accuratamente individuate, soprattutto nel secondo Atto, dove tutto il palco è ammantato di neve (nella trama siamo a gennaio). L’allestimento è fisso: è un’enorme cupola, molto pesante (per questo motivo i tempi per i cambi di scena sono così lunghi) che nel I Atto, ad esempio, ospita la casa di Violetta, volgarissima nelle pareti con tappezzeria bombata viola (colore predominante in tutta l’opera come simbolo di decadenza e morte) e soffocante nella creazione di un’atmosfera satura di una sensualità stanca e forzata. La stessa casa tornerà nel III Atto, con specchi anneriti e lampadario velato di nero, in cui spicca soprattutto la geniale soluzione con cui i coniugi Hermann interpretano il duetto “Parigi o cara”: Violetta e Alfredo sono l’uno di spalle all’altra, ognuno perso nel coltivare la propria illusione di felicità, per Alfredo ingenuamente ancora possibile, per Violetta un’ambizione ormai perduta. Forse, in generale, non hanno pienamente convinto alcuni movimenti scenici e scelte di allestimento complicate e inusuali (la povera Violetta ha rischiato una brutta caduta dalle sedie nella quale era salita alla fine del I Atto); promossa invece senza riserve, per la parte strettamente musicale, l’Orchestra del Teatro Lirico diretta da Donato Renzetti, perfetto nel suo cercare, pur attenendosi alla partitura, soluzioni nuove, come nei numerosi “crescendo” orchestrali ,veri slanci di vitalità a volte non seguiti perfettamente dalla massa corale (in generale sottotono, probabilmente a causa di un problema di acustica intrinseco alla scenografia e alle scelte registiche).
Il cast vocale ha riservato piacevoli sorprese e rassicuranti conferme. Sapevamo già, perché sentita nella stagione sinfonica del 2012, delle doti vocali di Irina Lungu (Violetta), giovane soprano moldavo, affronta il personaggio con sicurezza, superando con precisione ritmica e di intonazione lo scoglio di brani quali “Sempre libera degg’io”, nonostante spesso si trovi a cantare in posizioni assolutamente scomode per l’emissione vocale (come quella supina). La voce della Lungu è di timbro scuro e di sonorità calda, ma abbastanza nervosa per declinare i capricci della Violetta del I atto, ma queste sono interpretazioni personali . Le sorprese, invece, sono state varie: la prima è il debutto del tenore sardo Francesco Demuro (finalmente, oseremo dire) sul palcoscenico cagliaritano. Dopo aver calcato le scene dei maggiori teatri europei e mondiali, Demuro torna nella sua terra d’origine, nella quale ha iniziato i suoi studi e nella quale la sua musica ha trovato ispirazione: in questa “Traviata” è stato un ottimo Alfredo, accurato e appassionato nello stesso tempo, dal timbro fresco e dalla vocalità fantasiosa che ha profilato perfettamente la personalità del giovane e incauto protagonista. Un plauso va anche a Vittorio Vitelli, baritono che impersona Giorgio Germont, personaggio non certo secondario nell’economia dell’opera ma spesso relegato ad artisti di scarsa qualità: Vitelli invece ha regalato una buona prova, specialmente nel duetto con Violetta durante il secondo Atto. Infine, una accenno ad Annina, interpretata da Vittoria Lai, giovane soprano cagliaritano che speriamo di vedere ancora e in ruoli sempre più impegnativi.

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