Immaginate un mondo popolato da esseri umani, che grazie a secoli di evoluzione sono riusciti a partorire una tecnologia in grado di mettere in contatto persone distanti tra loro anche chilometri, oggetti a cui con il passare del tempo sono state aggiunte caratteristiche e funzioni che vanno anche oltre il loro iniziale utilizzo. Chiamiamoli smartphone. Mettiamo in conto che l’abitante di questo pianeta sia un essere di base curioso, mai sazio di novità, che provi un’attrazione quasi [url”ossessiva”]http://salute24.ilsole24ore.com/articles/16942-nomofobia-la-paura-e-sentirsi-disconnessi[/url] per questi prodotti, tanto che tutti arrivano a possederne uno. Anche chi non lo desidera finisce per averlo, a volte perché costretto dal tipo di lavoro, altre per non sentirsi emarginato dagli altri, la maggioranza. Così ci troviamo di fronte un pianeta in cui le persone si trasformano in qualcosa di diverso: un tecno-zombie metà uomo e metà cellulare, in grado di camminare senza guardare la strada e di comunicare senza aprire bocca, per poi finire al ristorante in un gruppo, dove nessuno guarda negli occhi gli altri, ma resta ipnotizzato davanti a quel piccolo schermo, imbambolato.
Tralasciando per un attimo gli effetti negativi di questo oggetto, mettiamo il caso che a produrlo sia una grande azienda, che abbia scoperto dei luoghi in cui fabbricare questo prodotto abbassando drasticamente i costi, magari in una [url”città”]http://www.google.it/url?sa=t&rct=j&q=&esrc=s&source=web&cd=6&ved=0CEAQFjAF&url=http%3A%2F%2Fit.wikipedia.org%2Fwiki%2FShenzhen&ei=cdzdVN2KNYfaaujCgLAI&usg=AFQjCNFR4Z9HcDhgKOk2Jnk7kxvsyejZrg&sig2=rGEsqueXKrlLwgoVcjwzyA&bvm=bv.85970519,d.d2s[/url] realizzata proprio per svolgere questa precisa attività. In queste fabbriche viene impiegato chiunque, uomini e donne, bambini e anziani, con turni orari massacranti e disumani, senza alcun tipo di diritto, norma igienica o di sicurezza. Proprio i ritmi di lavoro a cui sono sottoposti porta queste persone verso una spirale di sofferenza e schiavitù, che ha un’unica e incontrovertibile fine: la morte, in una delle sue svariate forme. Così ogni [url”suicidio”]http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/26/suicidi-nella-fabbrica-apple-cina/186730/[/url] o [url”decesso”]http://www.ilnumerozero.com/mondo/9101-morire-di-iphone-boom-di-leucemie-nelle-fabbriche-di-shenzen.html[/url] naturale macchia di sangue ognuno di quei singoli oggetti, che poi finiscono dentro una scatola e viaggiano fino a raggiungere gli angoli del globo, fino ad arrivare all’individuo che ne diventerà prima il proprietario e poi a sua volta schiavo, il tecno-zombie appunto.
Infine ipotizziamo che esista una mente libera. Un animo puro in grado di scoprire l’enorme incubo che si nasconde dietro la produzione e gli effetti di questa tecnologia. Cosa farebbe? Ovviamente cercherebbe di divulgare la notizia, gridando allo scandalo. Ancor più ovvio, cercherebbe di farlo utilizzando la Rete, magari proprio con uno smartphone. Ma così cadrebbe in una trappola ancora più ampia. Infatti chi controlla le comunicazioni, può sapere qualsiasi cosa, può controllare il messaggio che scrivi, quando lo scrivi, mentre lo scrivi. E può di conseguenza controllare anche l’informazione, che di pari passo con la tecnologia si è evoluta proprio con l’utilizzo di nuovi pc, tablet e compagnia bella. Così anche se quel qualcuno riuscisse a divulgare quella notizia, per questi moderni ‘padroni del mondo’ sarebbe facile bloccarla o addirittura scatenarne un’altra, magari una che attiri molto l’attenzione delle masse. Tipo un cucciolo maltrattato o perché no, una [url”mamma orso”]http://www.repubblica.it/ambiente/2014/09/11/news/morta_l_orsa_daniza_non_sopravvive_alla_cattura-95490478/[/url] uccisa brutalmente, che come attenzione mediatica battono a mani basse anche i barconi di [url”immigrati”]http://www.iltempo.it/cronache/2015/02/12/altri-400-morti-siamo-a-4-000-in-un-anno-1.1377222[/url] che affondano o un [url”massacro”]http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2015-01-08/strage-boko-haram-nord-est-nigeria-si-temono-2mila-morti-172823.shtml?uuid=ABINgpaC[/url] in una qualsiasi zona dell’Africa. Perché esiste una tremenda verità: la gente si indigna per una cosa alla volta (cit.).
E così la vita continua su questo pianeta popolato da esseri umani. Un mondo simile al nostro raccontato da Dylan Dog nel numero 341 intitolato [url”Al servizio del caos”]http://www.sergiobonelli.it/scheda/38147/Al-servizio-del-caos.html[/url] , scritto da Roberto Recchioni e disegnato dall’accoppiata Stano-Bigliardo, che in 98 pagine di fumetto condensano temi di un’attualità disarmante, intrecciati con l’indagine dell’Indagatore dell’incubo. Non è certo la prima volta che il fumetto di Sclavi tratta tematiche attuali, anzi è raro trovare un albo che non nasconda un messaggio più profondo della pura narrazione. Eppure in questo caso l’incubo si avvicina così tanto alla realtà, da far più paura di vampiri e lupi mannari.
Ma per fortuna viviamo in un mondo molto diverso da quello descritto all’inizio di questo articolo. Giusto?