Era il 3 dicembre del lontano 1994 e nei negozi giapponesi faceva la sua comparsa la prima Playstation, la console con cui Sony decise di lanciarsi nell’avventura del gaming, dando vita al più grande fenomeno di intrattenimento al mondo. In un’epoca dominata da colossi come Sega, Nintendo e Atari, la scelta operata da un’azienda da sempre associata esclusivamente a videoregistratori, televisioni e walkman parve incredibile nel 1994. E invece in soli due decenni e quattro generazioni di console, Sony ha dato vita a qualcosa di mai visto nel settore, che ha scavalcato i confini del semplice gioco per entrare nella quotidianità di milioni di persone. Un fenomeno sociale – In venti anni PlayStation è diventata sinonimo di videogioco: non lo testimonia solo l’utilizzo del nome come termine per indicare nel quotidiano una qualsiasi console o attività di gioco (chi non ha mai sentito il classico «non stai mica giocando alla playstation» riferito a chi prova a fare qualcosa di impossibile che si può fare solo nei videogiochi?) , ma anche l’uso – e abuso – della forma stilizzata del joypad a icona grafica di una qualsiasi tipologia di intrattenimento. E ancora i quattro simboli del joypad: triangolo, cerchio, quadrato e ics, diventate negli anni addirittura soggetto di opere d’arte.
Ma soprattutto è entrata con forza nel sociale, nella vita di tutti i giorni. «Playstation è un’icona, un simbolo delle passioni da sfogare: la gioia, la rabbia, la guerra, la sfida con gli altri. Insomma, tutto quello che può appartenere al mondo del divertimento», dice all’Adnkronos Marco Saletta, general manager di Sony Computer Entertainment Italia. «Negli anni ha avuto un impatto legato alla vita privata delle persone. Ci si gioca di notte, modificando orari e abitudini. Siamo diventati un pò ‘schiavì e il gaming on line sta accelerando tutto questo. In più – continua- è un fenomeno cross generazionale: padri e figli ci giocano, io stesso ci gioco con i miei nipoti», racconta Saletta. «L’epoca digitale -continua il general manager- sta cambiando fortemente le necessità e la gestione del divertimento. Oggi i giochi durano 15 ore e permettono di salvare ogni trenta secondi». Negli anni passati tutto era meno frenetico: «I videogiochi duravano anche 100 ore e il save era ogni due o tre livelli». E poi oggi c’è il concetto di condivisione: «Piace far vedere le capacità, i contenuti si ‘sharanò per mostrargli agli altri. PlayStation su questo è in linea con le esigenze del consumo di oggi. Fa condividere».
Futuro social. Nell’epoca dei social e della condivisione Sony non si ferma nell’innovazione e lo dimostrano Share Play e Play Now. Il primo servizio permetterà di giocare con un amico senza possedere la copia fisica del gioco, ma ‘entrandò nella console che sta facendo girare il videogame in una sessione dalla durata di massimo un’ora. Il secondo è stato annunciato nel 2012 e presentato al CES 2014. Non è altro che un sistema che permetterà di utilizzare i videogiochi senza averli fisicamente, bensì in streaming. Il cloud-gaming, basato sulla tecnologia della giapponese Gaikai, permetterà inoltre di giocare non solo su console, ma anche su dispositivi non strettamente di gaming: dai televisori Bravia ai tablet e agli smartphone. «Al momento funzionerà negli Stati Uniti, poi nel 2015 sbarcherà in Europa, in Gran Bretagna». In Italia è ancora un miraggio, le infrastrutture della banda larga non permettono qualcosa del genere. Eppure, proprio su questo fronte Sony cerca di stimolare le istituzioni. «Stiamo cercando di far passare un messaggio: il videogame è cultura, chi lo crea è un’artista, vengono utilizzate tecnologie come quelle delle pellicole cinematografiche. Una visione del genere – sostiene il manager – se incentivata potrebbe aiutare la diffusione della banda larga, necessaria per giocare on line. Chi in Europa ha investito in queste infrastrutture, oggi naviga in acque tranquille». Allo stesso modo, l’azienda giapponese sta lavorando anche ad accordi con gli operatori telefonici «per far capire quanto è importante il gaming per la penetrazione di internet ad alta velocità», con l’obiettivo di dare all’utente finale una connessione all’altezza del compito.
La storia. Con l’arrivo in Giappone nel 1994 e l’anno successivo sui mercati statunitense e europeo, PlayStation si affermò rapidamente in tutto il mondo. Sei anni di dominio nel settore prepararono il trampolino per il lancio nel 2000 della seconda generazione, la PS2, inedita nelle forme e bellissimo monolite nero che nell’arco della sua ‘carrierà ha frantumato ogni record raggiungendo quasi 150 milioni di unità vendute. Di sei anni in sei anni, nel 2006 arrivò il momento della nextgen di casa Sony, la PlayStation 3. Altro giro altro record, con 80 milioni di console vendute, anche se con qualche difficoltà in più rispetto ai due modelli precedenti, per problemi legati all’hardware e a un paio di attacchi hacker nel 2010 che svelarono falle nel firmware, risolte poi con gli aggiornamenti. Per avere la quarta generazione, la PS4, è servito aspettare sette anni: tra novembre del 2013 e febbraio del 2014 l’ultima nata di casa Sony è arrivata su tutti i mercati, iniziando pian piano a replicare il successo delle tre sorelle maggiori in un settore che è diventato più competitivo grazie alla presenza consolidata di Microsoft e della storica Nintendo. Il segreto del successo – C’è una cosa che ha permesso alla PlayStation, nel 1994, di ottenere un successo così grande. E Saletta non ha dubbi su quale sia: «La fortuna è stata l’utilizzo di un supporto fisico come il compact disc. Non era stato mai utilizzato per scopi del genere. Gli sviluppatori potevano dare vita alle loro idee e alla creatività avendo a disposizione uno spazio enorme rispetto agli standard del tempo. Inoltre -conclude- avere così tanti megabyte ha permesso l’impiego del vero 3D nei giochi, quando all’epoca tutto era piatto, a due dimensioni», conclude il manager.