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Vi odio, cari poliziotti: Pasolini e il Sessantotto

Lo scrittore era nato il 5 marzo del 1922 e siamo anche a Cinquant'anni da '68

Vi odio, cari poliziotti: Pasolini e il Sessantotto
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5 Marzo 2018 - 22.40


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di Giovanni Giovannetti 

Pier Paolo Pasolini era nato a Bologna il 5 marzo 1922, e dunque oggi cadrebbe il suo compleanno. Ma a cinquant’anni dal Sessantotto siamo anche dentro a quest’altro anniversario; e ne ricorre un terzo, correlato a quest’ultimo: l’anniversario degli scontri tra studenti e polizia a Valle Giulia il 1° marzo 1968, quelli presi di mira da Pasolini nella sua tanto citata quanto equivoca ed equivocata poesia Il Pci ai giovani!!, da lui stesso definita «brutta».

A quel tempo per una parte del Pci gli studenti che scendono in piazza altro non sono che «un rigurgito di infantilismo estremista e di vecchie posizioni anarchiche». Lo scrive Giorgio Amendola, in un duro attacco agli studenti dopo gli scontri romani con la polizia del 1° marzo 1968, (Necessità della lotta sui due fronti, “Rinascita”, 7 giugno 1968). Nel rincarare la dose, il migliorista Amendola scrive che «Bisogna notare una nostra debolezza nel condurre una lotta coerente contro le posizioni estremiste e anarchiche affiorate nel movimento studentesco, e di qui diffuse anche in certi settori del movimento operaio. In realtà tutto il nostro fronte di sinistra è restato a lungo scoperto, per il modo debole e incoerente con il quale viene condotta la lotta sui due fronti. Ora la lotta sui due fronti è una necessità permanente del movimento comunista. La lotta contro l’opportunismo socialdemocratico è efficace se essa viene accompagnata da un’azione coerente contro il settarismo, lo schematismo e l’estremismo». Non pago, Amendola accusa il movimento studentesco di manifestare posizioni antisovietiche: «Ora v’è un tratto che lega le varie posizioni estremiste ed anarchiche: ed è, più che la critica, che a volte può essere doverosa, la polemica astiosa e calunniosa antisovietica. Quando a Pechino la manifestazione dei giovani in solidarietà con gli studenti francesi si muove dietro uno striscione nel quale si dichiara la volontà di lottare “contro gli Stati Uniti e contro l’Unione Sovietica”, ebbene si compie un’azione assurda, e noi non possiamo permettere che senza una nostra resistenza simili calunnie penetrino nel movimento giovanile, circolino fra i lavoratori, creino nuovi motivi di confusione e di divisione». Questa presa di posizione verrà ritenuta incauta – bontà sua – dal segretario comunista Luigi Longo, apparentemente incline al «dialogo». 

Desta e sinistra unite nella lotta

Quel giorno a Valle Giulia studenti di destra e di sinistra insieme danno scacco alle forze dell’ordine («…non siam scappati più», canta Paolo Pietrangeli in Valle Giulia, inno del Sessantotto). Insomma, si assiste a una rivolta generazionale apparentemente estranea alla dicotomia fascismo-antifascismo tanto cara ai partiti. E infatti il primo a intervenire sarà il missino Giorgio Almirante, subito accorso in Università col suo servizio d’ordine a mettere in riga gli studenti di destra, minacciandoli e sconfessandoli; il secondo è Pasolini, con il controverso testo poetico Il Pci ai giovani!!, destinato a “Nuovi argomenti” e pubblicato in estratto da “l’Espresso” il 16 giugno 1968 col titolo Vi odio, cari studenti. Ne fuoriesce una lettura fuorviante sin dal titolo, sostenuta dai versi in cui Pasolini sembra schierarsi con i poliziotti («Quando ieri a Valle Giulia avete fatto a botte / coi poliziotti, / io simpatizzavo coi poliziotti»). Tutto questo pare assai curioso se a scrivere è la penna del poeta più inquisito del momento, colui che qualche passo più avanti si dice «ovviamente d’accordo contro l’istituzione della polizia».

I versi finali di questa poesia («Oh Dio! che debba prendere in considerazione / l’eventualità di fare al vostro fianco la Guerra Civile / accantonando la mia vecchia idea di Rivoluzione?») inducono a riconsiderare il senso dell’intero componimento; e ve ne sono altri in cui Pasolini invita provocatoriamente i giovani a impadronirsi del Pci: «Ma andate, piuttosto, pazzi, ad assalire Federazioni! / Andate a invadere Cellule! / andate ad occupare gli usci / del Comitato Centrale: andate, andate / ad accamparvi in Via delle Botteghe Oscure! / Se volete il potere, impadronitevi, almeno, del potere / di un Partito che è tuttavia all’opposizione».

Sì, c’è una nuova idea di “rivoluzione” libertaria progressiva più attenta ai francofortesi che non al marxismo dottrinario in crisi; un salutare ripensamento che attraversa il movimento giovanile e la Nuova sinistra italiana, riverberato da riviste come “Quaderni rossi”, “Ombre rosse”, “Quaderni piacentini”, “Nuovo impegno” e altre ancora. Ma questo proposito il Pci non sembra intenzionato a mutuarlo, percependolo semmai come minaccia in anni di crisi referenziale del più importante partito di massa della sinistra italiana; un partito sempre più attratto dalla prospettiva di una Große Koalition con la Dc. 

Padri e figli

Certo, se presi alla lettera isolandoli dal contesto, alcuni versi de Il Pci ai giovani!! possono apparire ambivalenti: ad esempio, Franco Fortini vi legge un attacco al movimento studentesco e accuserà Pasolini di ambire alla carica di «fiduciario lirico» del Pci; glielo dirà di persona, interrompendo seduta stante ogni rapporto con lui. 

Nel commentare su “L’Espresso” il 16 giugno 1968 questo suo componimento, Pasolini prova allora a precisare «che questi brutti versi, e cioè non chiari, io li ho scritti su più registri contemporaneamente: e quindi sono tutti “sdoppiati” cioè ironici e autoironici. Tutto è detto tra virgolette. Il pezzo sui poliziotti è un pezzo di ars retorica, che un notaio bolognese impazzito potrebbe definire, nella fattispecie, una captatio malevolentiae: le virgolette sono perciò quelle della provocazione». L’unico brano non provocatorio, riferisce Pasolini, «è quello parentetico finale. Qui sì pongo, sia pure attraverso lo schermo ironico e amaro (non potevo convertire di colpo il demone che mi ha frequentato, subito dopo la battaglia di Valle Giulia – e insisto sulla cronologia anche per i non filologi), un problema “vero”: nel futuro si colloca un dilemma: guerra civile o rivoluzione?» E ancora: «la borghesia sta trionfando, sta rendendo borghesi gli operai, da una parte, e i contadini ex coloniali, dall’altra», scrive: insomma, «attraverso il neo-capitalismo la borghesia sta per diventare la società stessa, sta per coincidere con la storia del mondo». Detta così, come non convenirne.

Tornerà altre volte sull’argomento; in particolare, lo farà il 17 maggio 1969 nella sua rubrica Il Caos, sul “Tempo illustrato”: «Proprio un anno fa ho scritto una poesia sugli studenti, che la massa degli studenti, innocentemente, ha “ricevuto” come si riceve un prodotto di massa: cioè alienandolo dalla sua natura, attraverso la più elementare semplificazione. Infatti quei miei versi, che avevo scritto per una rivista “per pochi”, “Nuovi Argomenti”, erano stati proditoriamente pubblicati da un rotocalco, “L’Espresso” (io avevo dato il mio consenso solo per qualche estratto): il titolo dato dal rotocalco non era il mio, ma era uno slogan inventato dal rotocalco stesso, slogan (Vi odio, cari studenti) che si è impresso nella testa vuota della massa consumatrice come se fosse cosa mia. Potrei analizzare a uno a uno quei versi nella loro oggettiva trasformazione da ciò che erano (per “Nuovi Argomenti”) a ciò che sono divenuti attraverso un medium di massa (“L’Espresso”). Mi limiterò a una nota per quel che riguarda il passo sui poliziotti. Nella mia poesia dicevo, in due versi, di simpatizzare per i poliziotti, figli di poveri, piuttosto che per i signorini della facoltà di architettura di Roma […]; nessuno dei consumatori si è accorto che questa non era che una boutade, una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l’attenzione del lettore, e dirigerla su ciò che veniva dopo, in una dozzina di versi, dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescio, in quanto il potere oltre che additare all’odio razziale i poveri – gli spossessati del mondo – ha la possibilità anche di fare di questi poveri degli strumenti, creando verso di loro un’altra specie di odio razziale; le caserme dei poliziotti vi erano dunque viste come “ghetti” particolari, in cui la “qualità di vita” è ingiusta, più gravemente ingiusta ancora che nelle università».

Ma per quanto Pasolini argomenti, «ormai la frittata era fatta». Come scrive Wu Ming 1 in un commento a quei versi (La polizia contro Pasolini, Pasolini contro la polizia, “Internazionale”, 29 ottobre 2015), la frittata «sarebbe rimasta a fumigare in padella per i quarant’anni e passa a venire, per la gioia di “postfascisti”, ciellini,sindacati gialli, teste da talk-show, scrittori tuttologi esternazionisti, commentatori pavloviani». E tuttora, «ogni volta che si manifesta il conflitto sociale e la polizia interviene a reprimerlo riparte, come lo ha chiamato un cattivo maestro, “l’infame mantra” su Pasolini che stava con la polizia e i manganelli. Con quel mantra si è giustificato ogni ricorso alla violenza da parte delle forze dell’ordine. Bastonate, candelotti sparati in faccia, gas tossici, l’uccisione di Carlo Giuliani, l’irruzione alla scuola Diaz di Genova, la solidarietà di corpo agli assassini di Federico Aldrovandi eccetera. Periodicamente, frasi decontestualizzate sui manifestanti “figli di papà” e i poliziotti proletari sono usate contro precari, sfrattati o popolazioni che si oppongono alla devastazione del proprio territorio».

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