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Da Craxi e “Drive-in” alla lite Bugo-Morgan: il trash italiano dal 1980 a oggi

Con il libro “Mad in Italy” Gabriele Ferraresi racconta l’inarrestabile ascesa di una follia collettiva tra costumi sociali, tv, politica e fine delle ideologie

Da Craxi e “Drive-in” alla lite Bugo-Morgan: il trash italiano dal 1980 a oggi
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14 Luglio 2020 - 21.59


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di Giuseppe Costigliola

Chi volesse provare a capire come sono cambiati i costumi del nostro Paese negli ultimi quarant’anni, chi volesse ripercorrere la parabola di abbrutimento che ci ha portati ad essere quel che oggi siamo, consegnandoci all’insignificanza e alla follia diffusa, dovrebbe leggere un volume apparso di recente, Mad in Italy. Manuale del trash italiano, 1980-2020, di Gabriele Ferraresi (Il Saggiatore, 20 Euro, pp. 467).

Il libro segue una scia di ricerca sociologica caratterizzata da quella che l’autore definisce “un’ossessione”, quella per cui “i migliori e le migliori di noi hanno sempre provato a capire, spiegare e spiegarsi che cosa siamo”, cosa vuol dire essere italiani. Organizzato in capitoli corrispondenti agli anni (dal 1980 al 2020), questo “manuale” ci accompagna in un viaggio nel tempo, presentando un catalogo ricco di dati e di date, un repertorio di eventi e situazioni che offre una sorta di mappa per aiutare ad orientarsi nel nostro sempre più caotico recente passato, nel tentativo di mettere a fuoco un’identità fluttuante, in continuo divenire e via via più sfocata.
La lente focale attraverso cui si analizzano gli eventi è la categoria del trash quale “emulazione fallita”, così come coniata da Tommaso Labranca, cifra stilistica di molte delle espressioni e dei modi di essere degli italiani: trash come “lo scarto che si ottiene tra l’intenzione che sta dietro le emulazioni di prodotti o personaggi di successo e il risultato effettivo”. Non a caso, particolare enfasi è data alla società dello spettacolo, ai mutamenti che hanno rivoluzionato il modo di fare televisione, quindi le modalità dell’essere e dell’apparire.

Nell’introduzione l’autore cerca di rintracciare l’origine dell’odierna identità. Sulla scorta di storici e studiosi, rintraccia negli anni Ottanta un cambio di paradigma sociale che contiene in germe la nostra contemporaneità. Presero a maturare allora alcune spinte originate dalle esperienze sessantottine, che innescarono tre macro-fenomeni: la ricerca della libertà individuale a scapito di quella collettiva; la fine delle ideologie quale collante della società; il perseguimento della soddisfazione personale attraverso la realizzazione professionale e i consumi. Quel decennio sarebbe quindi un momento “di definitiva transizione e dissoluzione da un’Italia ancora arcaica e tardo-pasoliniana a un’Italia craxiana, fatta di Thema Ferrari 8.32 e Drive-In, di Sigonella e di prosciutti Rovagnati, di spesa pubblica ubriacante e gamberetti in salsa rosa”. Citando lo storico Paul Ginsborg, Ferraresi nota che in quegli anni nella nostra società si diffusero un “accentuato individualismo, l’autonomia della cultura giovanile, una crescente secolarizzazione e il benessere economico”. E, tra i “danni prodotti” in quel lasso di tempo, annovera una diffusa volgarità, lo sdoganamento dell’odio e dell’intolleranza, nel dibattito pubblico e nei mass media, nella politica e nella televisione, il rampantismo, il denaro come attestazione unica dell’identità.

Il viaggio nel tempo presentato in questo libro risulta a tratti orrorifico, a tratti esilarante (episodi come l’arresto in diretta su un campo di calcio di Serie A, avvenuto il 23 marzo 1980 in seguito al famigerato scandalo del calcioscommesse, o la tragedia di Vermicino, coperta da diciotto ore di diretta tv, sembrano accaduti secoli fa), con i decenni puntellati da fatti piccoli o grandi, momenti epocali che hanno segnato la vita nazionale, il costume, l’ethos italico, ma anche episodi minori, tutti comunque rivelatori di un costume in degradante divenire, presentatici in un lungo elenco commentato, dove possiamo specchiarci inorriditi, cinicamente divertiti.

Viaggio che approda agli anni Zero, all’Italia odierna, che presenta “uno scenario decisamente desolante”: un Paese dove si produce poco ma si consuma tanto, dove i cittadini inoccupati hanno superato ampiamente il numero di quelli che lavorano, dove larga parte della popolazione ha accesso a consumi opulenti ma dove la produttività è ferma da vent’anni, una “società signorile di massa” (nell’espressione del sociologo Luca Ricolfi) che si regge soprattutto sulla ricchezza accumulata dalle generazioni passate, dove la maggioranza dei cittadini vive un sogno di grandezza da lungo tempo sfumata.

Soprattutto, si arriva ad un anno, quello che stiamo vivendo, “che segna un prima e un dopo”. Un anno in cui, prima della tremenda esperienza della pandemia, l’ultimo momento effimero e leggero a livello collettivo è stata la lite scoppiata a Sanremo tra Bugo e Morgan. “I momenti peggiori di tv spazzatura – conclude Ferraresi con una sorta di cinica nostalgia – sono annichiliti dalla serietà delle circostanze che ci circondano, li abbiamo già lasciati alle spalle. Abbiamo riparametrato il terribile, non se ne esce”.
In effetti è strano, a pensarci. Ma se ne uscirà, comunque. Consapevoli che al peggio, tornando al discorso identitario e alla sociologia dell’italiano, non c’è mai fine.

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