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Vicari: sto con Riondino, il suo urlo di dolore ci chiama alla responsabilità collettiva

A lui mi lega il disagio profondo verso la politica italiana e la sinistra che non ha saputo frenare la deriva che ci ha portato sull'orlo dell'abisso

Vicari: sto con Riondino, il suo urlo di dolore ci chiama alla responsabilità collettiva
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30 Agosto 2018 - 10.46


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di Daniele Vicari*

Michele Riondino, uno dei più grandi attori italiani, chiamato a ricoprire l’ambìto ruolo di “Madrino” dalla mostra del cinema di Venezia, dichiara senza mezzi termini che se Salvini andasse a fare struscio alla Mostra lui non gli stringerebbe la mano. 

Mi lega a Michele una amicizia profonda, nata con l’esperienza condivisa sul set de “Il passato è una terra straniera” 2008, suo primo film e mio terzo lungometraggio di finzione. Ma non solo, mi lega a lui il disagio profondo nei confronti della politica italiana e della ormai defunta “sinistra” che non ha saputo frenare la deriva che ha inesorabilmente portato il paese sull’orlo dell’abisso, suicidandosi nelle proprie fumisterie, sconfittismi e persino nella assuefazione al “sistema” come è capitato alla cosiddetta “sinistra moderata” che anziché combatterlo quel sistema, cambiarlo, piegarlo ad esigenze di giustizia sociale, ha sposato la causa della “forza maggiore” ed ha perduto il suo stesso popolo. Ora, con questa dichiarazione Michele è diventato un caso politico-mediatico, come ogni cosa che riguardi Matteo Salvini baciato e coccolato dai media e non da oggi. 

Anche le pietre sanno che Michele si è speso per la sua città, Taranto, organizzando un Primo Maggio straordinario all’insegna di una nuova idea di progresso sociale e civile. Michele è un uomo profondamente di sinistra. La sua è una famiglia proletaria, come la mia, e come me non ha “il culo parato”. Ed è anche per questo che è un uomo libero, senza padroni. Non credo che gli organizzatori della mostra, invitandolo, non sapessero che oltre ad essere libero è anche coraggioso se non temerario, ed era inevitabile che, a domanda, rispondesse anche contro i protocolli “verbali” che in queste occasioni istituzionali gli artisti si impegnano a rispettare. Ed ha risposto da par suo: «Se lo incontrassi non stringerei la mano a Salvini». 

Tutti sanno poi che Michele ha votato per il Movimento 5stelle, perché quel movimento a Taranto si è fatto portatore di una istanza radicale che viene invocata da gran parte della città, che con la vicenda Ilva ha un problema grosso come una montagna. Ieri ha anche dichiarato la sua “delusione” per l’indecisionismo del ministro Di Maio rispetto alla vicenda ILVA. Dichiarazione curiosamente meno ripresa perché sul tema Ilva il 99% dei media e delle organizzazioni politico-sindacali sono schierate a favore del mantenimento della produzione a Taranto. In questa storia Di Maio ha il ruolo più tragico, bisogna riconoscerlo anche se se lo merita avendoci fatto sopra una spietata campagna elettorale, perché qualunque decisione dovesse prendere provocherà conseguenze imprevedibili. Chiudendo Ilva resteranno a casa 14.000 lavoratori e nessuno potrà forse avere mai il denaro per procedere ad una bonifica del territorio inquinato; lasciandola aperta si assume il rischio di prolungare probabilmente l’agonia sociale ed ambientale di una grandissima città del Mediterraneo, già capitale della “Magna Grecia” che oggi, dopo migliaia di anni, è ancora fulcro della cosiddetta civiltà Europea, giunta sull’orlo di una delle più drammatiche crisi della sua storia, anzi più che il fulcro è la crepa di quel gigante dai piedi d’argilla che chiamiamo Europa e che si fonda sulla “civiltà industriale”.

Inevitabilmente sulla testa di Michele sono precipitate critiche da ogni parte, la più ricorrente delle quali proviene da sinistra: hai votato per i 5stelle, sei responsabile anche tu del disastro Salvini. Ma anche l’estrema destra salviniana non scherza, basta farsi un giro sui “social”.

Però io capisco Michele, credo che votando per i 5stelle, come tantissime persone di sinistra, abbia pensato di sbloccare una situazione incancrenita che è arrivata evidentemente ad un punto di non ritorno: lo “sviluppo senza progresso” (come diceva Pasolini). Quasi tutti i miei amici pugliesi sono per la chiusura dell’acciaieria e ogni volta che ho provato a fare con loro un ragionamento razionale sull’importanza dell’industria anche per la Puglia mi hanno seppellito sotto una mole di motivazioni a favore della chiusura difficili da negare. A Taranto capita ciò che, con esisti altrettanto traumatici, è capitato con i petrolchimici a Marghera, a Priolo, a Gela. La questione divide le città e le culture. Divide persino i sindacati e lavoratori dalle loro stesse famiglie, come una guerra civile mette figli contro padri, fratelli contro fratelli. 

E’ per questo che Michele ed i comitati di cui si fa megafono, pensando che “lo Stato” possa e debba risolvere il loro problema si sono affidati ai 5Stelle che hanno esplicitamente promesso la chiusura dell’Ilva (forse pensando di non vincere le elezioni), visto che invece la sinistra di governo negli ultimi decenni si è affidata a quel “mercato” che non ha dato grande prova di sensibilità ambientale e umana e che, se possibile, nel passaggio dal pubblico al privato è riuscito a peggiorare una situazione già difficile a Taranto come altrove. Non è questa la sede per stabilire chi ha torto o ragione, è un discorso complicato, riguarda il “modello di sviluppo” e non esclusivamente la proprietà dei mezzi di produzione, anche tra gli economisti la discussione è aperta tra liberisti, statalisti e keynesiani. Stessa cosa la questione del Ponte Morandi e delle concessioni autostradali. Anche lì, difendendo gli attuali concessionari nel tentativo di difendere i “principi del mercato” c’è chi da sinistra ha dato la sensazione di difendere le prerogative dei “padroni”, finendo per favorire l’idea magari poco realistica dei 5Stelle di rinazionalizzare quei servizi, come soluzione di un problema evidente e gigantesco. Se ciò che resta della “sinistra” non avesse su questi temi la coda di paglia, la sua voce si alzerebbe forte e chiara, invece appare querula e inconsistente.

Tutto ciò si lega alla “questione meridionale”, che se possibile è ancora più grande e complessa di quella specifica e spinosa del modello di sviluppo. Qui cascano tutti gli asini, infatti istintivamente Michele attacca Salvini perché la “Lega”, con il suo evidente tentativo di farsi buttare fuori dall’Euro per poi poter gridare al complotto di Soros, sta facendo esclusivamente gli interessi di alcuni territori del nord-nordest, e questa cosa Michele secondo me la sente a pelle, appunto istintivamente. Sono convinto che Taranto potrebbe essere uno di quei luoghi (come ha dimostrato la bella Milano di piazza San Babila) nei quali può rinascere una sinistra all’altezza del compito, consapevole che, oltre la questione delle grandi migrazioni, ce ne sono due altrettanto centrali, quella ambientale e quella del lavoro, che non possono non essere alla base di una nuova formazione politica di sinistra auspicabilmente socialista e libertaria. 

Insomma credo abbia fatto bene Riondino a dire ciò che ha detto, ad essere stato chiaro e limpido. Le contraddizioni che gli vengono addebitate sono le nostre contraddizioni. Io le vedo più come un urlo di dolore, una richiesta di aiuto, una chiamata alla responsabilità collettiva. Ci sta anche che un artista si prenda qualche pomodoro, lo fa anche in vece nostra.

*regista e autore

 

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