Trenta anni fa moriva Enzo Tortora, il giornalista ucciso da un errore giudiziario | Giornale dello Spettacolo
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Trenta anni fa moriva Enzo Tortora, il giornalista ucciso da un errore giudiziario

"Andai a trovarlo nel carcere di Bergamo, al quarto mese di prigionia, seguita alla gogna mediatica che diffondeva le sue immagini in manette, in un accanimento vergognoso di cui i media non si pentirono mai".

Trenta anni fa moriva Enzo Tortora, il giornalista ucciso da un errore giudiziario
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Giancarlo Governi Modifica articolo

18 Maggio 2018 - 15.17


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Non ho mai scritto di Enzo Tortora con il quale ho avuto un rapporto molto intenso prima del suo arresto infame e dopo, quando ritornò nel mondo dello spettacolo libero e trionfante. Un momento che durò meno di un anno purtroppo, stroncato da un tumore che tutti immaginammo di tipo psicosomatico, proprio quando la sua battaglia per il riconoscimento della responsabilità civile e penale del pubblico ministero stava per essere coronata da successo, e due anni prima che Giuliano Vassalli portasse in porto la riforma del codice di procedura penale, una riforma ispirata e sollecitata dal caso Tortora.

Enzo era un uomo molto intelligente e soprattutto di grande cultura. A casa sua a Via Piatti a Milano troneggiava una ricca libreria di classici della letteratura e della filosofia, che Enzo aveva letto e studiato con rigore. Il suo linguaggio era quasi un miracolo, sia che parlasse di vita quotidiana sia che invece parlasse di cultura alta. Era intellettualmente molto rigoroso e ironico per cui talvolta poteva esplodere in momenti di intolleranza nei confronti delle persone poco serie o che si macchiavano di cialtroneria, per Enzo uno dei peccati più gravi. Per tutti questi motivi molti suoi colleghi lo ritenevano antipatico e lo detestavano. Quando fu arrestato furono pochi a schierarsi dalla parte della sua innocenza. Qualcuno addirittura si lasciò andare a giudizi e a dubbi che poi fu costretto a rimangiarsi. Per saperne di più basta leggere il libro di Vittorio Pezzuto “Applausi e sputi”.

Enzo Tortora era liberale, un partito “signorile” come era signorile lui, che però quando fu arrestato non fu in grado di fare niente per lui. Per difendere Tortora bisognava sporcarsi le mani mettere in piedi una vasta mobilitazione contro la malagiustizia. Servivano i radicali, quelli delle battaglie civili degli anni Settanta e anche degli anni Ottanta. Tortora guidò la sua difesa portata avanti da avvocati straordinari, con la sua grande cultura e anche con la consapevolezza della propria innocenza ma anche conscio di portare avanti per tutti una grande battaglia civile. Ed Enzo ci dette una grande lezione, la dette soprattutto a coloro che si nascondevano dietro un mandato parlamentare. Quando, lui parlamentare europeo, fu condannato, si dimise per andare di nuovo in prigione, novello Socrate.

Andai a trovarlo nel carcere di Bergamo, al quarto mese di prigionia, seguita alla gogna mediatica che diffondeva le sue immagini in manette, in un accanimento vergognoso di cui i media non si pentirono mai. Venne in parlatorio un uomo distrutto che si era rasato i capelli da solo in un gesto autolesionistico. Appena mi vide si mise a gridare “cosa ci fa un galantuomo come me qui… dimmi che cosa ci fa”. Io mi misi a piangere e il secondino che lo aveva accompagnato piangeva anche lui e lo abbracciava: “non faccia così signor Enzo lo sappiamo tutti che lei è innocente”.

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