Pier Paolo Pasolini di nuovo archiviato, di nuovo ammazzato | Giornale dello Spettacolo
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Pier Paolo Pasolini di nuovo archiviato, di nuovo ammazzato

Dopo quasi 16 mesi di indagini, la Procura di Roma ha deciso di archiviare nuovamente il Caso Pasolini. Dialogo con l'avvocato Stefano Maccioni

Pier Paolo Pasolini di nuovo archiviato, di nuovo ammazzato
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David Grieco Modifica articolo

22 Marzo 2018 - 18.02


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Dopo quasi 16 mesi di indagini, la Procura di Roma ha deciso di archiviare nuovamente il Caso Pasolini.
La richiesta di riaprire il processo per individuare finalmente i mandanti e gli esecutori dell’assassinio del grande poeta massacrato all’Idroscalo di Ostia il 2 novembre del 1975 era stata presentata il 25 ottobre del 2016 dall’avvocato Stefano Maccioni, che aveva depositato una quantità impressionante di nuovi elementi di indagine.
Nel frattempo, un uomo dato per morto da più di 40 anni (Antonio Pinna) si era fatto vivo dal Brasile per affermare che al volante della seconda Alfa Gt di sua proprietà che era passata sul corpo di Pasolini non c’era lui, bensì Johnny lo Zingaro.
A quel punto, Johnny lo Zingaro era improvvisamente fuggito dal carcere dove si trovava detenuto a scontare ergastoli in un inspiegabile regime di semilibertà, e subito dopo Pino Pelosi (unico colpevole “ufficiale” del Delitto Pasolini), che aveva sempre scagionato Johnny, si era fatto ricoverare in ospedale.
In seguito, Pelosi moriva di cancro in ospedale senza lasciare alcun memoriale e Johnny lo Zingaro veniva miracolosamente ritrovato per una leggerezza non da lui e si lasciava arrestare in provincia di Siena senza opporre alcuna resistenza.
Ora Johnny lo Zingaro è detenuto a Sassari e nessuno può avvicinarlo.
I Grandi Misteri d’Italia restano dunque ben custoditi. Ne abbiamo avuto conferma in questi giorni in cui è stato commemorato Aldo Moro, anch’egli vittima di intrighi che nessuno ha intenzione di svelare, nemmeno 40 anni dopo.
Assai triste è un paese che non vuole far luce sul proprio passato. Tutti sappiamo cosa è accaduto in Italia dal dopoguerra ad oggi, passando per i cosiddetti anni di piombo. Lo sappiamo ormai quanto lo sapeva Pasolini, ma non dobbiamo saperlo. Il nostro paese sembra costretto a vivere in un eterno presente in cui tutto appare irriconoscibile, dalla vita sociale alla vita politica, per non parlare della vita culturale. Anche questo è uno dei principali motivi della costante fuga all’estero dei nostri giovani migliori. 
Abbiamo chiesto all’avvocato Stefano Maccioni, che già fece riaprire il Caso Pasolini nel 2010, di commentare la decisione della Procura di Roma.
Eccoci qui a parlare di una notizia, una notizia purtroppo incresciosa per tutti coloro, e non sono pochi, che si battono per raggiungere la verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini.
La Procura della Repubblica di Roma ha deciso di non riaprire nuovamente le indagini sul Delitto Pasolini. Nell’ottobre del 2016 avevo, infatti, avanzato una istanza volta a chiarire aspetti che la precedente inchiesta a mio avviso non aveva approfondito. In più erano stati aggiunti ulteriori elementi e testimonianze.
Come si spiega una decisione così pilatesca da parte della Procura di Roma dopo circa 15 mesi?
La Procura ritiene che le indagini sollecitate da questo difensore non possano in alcun modo contribuire ad individuare i responsabili del brutale omicidio. E’ ovvio che per pervenire ad un risultato sarebbe necessario un importante investimento. Penso al numero di test di Dna effettuati per il caso di Yara Gambirasio. Tutto ciò, dato il tempo trascorso dall’omicidio, si ritiene che non debba essere fatto, pensando che possa essere quasi impossibile individuare i soggetti coinvolti attraverso i Dna individuati sulla scena del delitto.
Mi puoi ricordare quali erano gli elementi più importanti che avevi portato alla Procura di Roma per convincerli a riprendere le indagini e a riaprire il Caso Pasolini?
Sulla base di una consulenza effettuata dalla dott.ssa Marina Baldi, nota genetista forense, avevo richiesto che venissero effettuati test del Dna a tutti quelli che avevano fatto parte della nascente Banda della Magliana, ma anche ad altri soggetti che gravitavano nell’ambito della criminalità romana dei primi anni ’70. Avevo inoltre richiesto l’individuazione del Dna dello scomparso Pino Pelosi da confrontare con i Dna presenti sulla scena del crimine. Inoltre avevo richiesto un approfondimento mai fatto in merito al movente politico dell’omicidio.
Recentemente Gianfranco Donadio, un importante magistrato che vive sotto scorta, è venuto a un dibattito a Salerno dopo la proiezione del film La Macchinazione ha preso subito la parola e ha detto: “Sono convinto che Pasolini sia stato eliminato esattamente come racconta il film, ma sono anche ormai convinto che la verità storica e la verità giudiziaria siano purtroppo due cose completamente diverse”. Che ne pensi?
Penso che Donadio abbia ragione; tuttavia la giustizia, secondo me, non dovrebbe mai interrompere la propria ricerca sulla verità. Penso ad esempio a quanto fatto dal giudice Calia in relazione alla sciagura aerea in cui scomparve Enrico Mattei, dimostrando molti anni dopo che si trattò di un attentato.
Se nessun tribunale sembra in grado di rintracciare la verità del Delitto Pasolini, secondo te a quali altri strumenti si può far ricorso?
Sicuramente il Parlamento dovrà istituire una Commissione parlamentare di inchiesta. Obiettivo questo che è stato purtroppo soltanto sfiorato nella scorsa legislatura e che mi auguro di realizzare nella prossima. Inizierò nuovamente la mia battaglia non appena si insedierà il nuovo Parlamento.
Come molti sostengono, Pasolini non è morto e non morirà mai. Per il semplice fatto che ciò che Pasolini denunciava continua ad affliggerci più che mai. Negli ultimi mesi, l’Eni e il petrolio sono stati al centro di nuovi, inquietanti scandali. Prima la morte misteriosa di un generale assunto dall’Eni, poi un giro impressionante di tangenti che sta facendo tremare i vertici dell’azienda. Anche Giacomo Matteotti venne assassinato dai fascisti perché aveva scoperto le tangenti sul petrolio. Ti chiedi anche tu come mi chiedo io da tanti anni per quale motivo nessuna forza politica fa dell’abolizione del petrolio la madre delle proprie battaglie?
Penso che tutto debba essere ricondotto agli enormi profitti legati al petrolio, senza ombra di dubbio.

Rieccoci dunque in cammino. La ricerca della verità sulla morte di Pier Paolo Pasolini ha già coinvolto tre generazioni di italiani, e una quarta generazione sembra pronta ad accettare l’estenuante sfida di rendere un giorno trasparente e leggibile la storia tuttora oscura e perversa del nostro paese dal dopoguerra ad oggi. Alludo alle migliaia di giovani e giovanissimi (liceali ed universitari) che ho avuto modo di incontrare nel lungo pellegrinaggio attraverso l’Italia con il film e il libro intitolati “La Macchinazione”. I giovani italiani che non fuggono all’estero vogliono sapere e vogliono vivere in un paese normale, senza alcun condizionamento ideologico.
La strada da percorrere è la stessa di sempre. La ricerca della verità richiede indagine, analisi, approfondimento. E soprattutto coraggio. Quel coraggio che troppi italiani figli di Don Abbondio non riescono a trovare, come notava intelligentemente Alessandro Manzoni. Quel coraggio che tuttavia oggi dobbiamo ad ogni costo trovare perché è in gioco la sopravvivenza del nostro paese.
Dobbiamo dunque continuare a scrivere, a leggere, a riflettere, a discutere. Cominceremo a farlo pubblicando su Globalist alcuni degli atti di un convegno che si è tenuto all’Università di Pisa il 9 e il 10 novembre 2017. “Petrolio 25 anni dopo” è stato con ogni probabilità il convegno più importante e rivelatore sulla figura di Pier Paolo Pasolini e sullo stravagante destino della sua ultima opera, “Petrolio” appunto, che sembra contenere tutta la verità sulla sua morte. 

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