Era favorita dei bookmakers per il premio Nobel per la letteratura, assegnato oggi dall’Accademia di Svezia.
Nata il 31 maggio 1948 ha narrato nei suoi libri i drammi della storia dell’Unione Sovietica e del suo crollo: la guerra in Afghanistan (Ragazzi di zinco, edito da e/o), Chernobyl (Preghiera per Cernobyl, e/o), la fine del comunismo (Incantati dalla morte, ancora e/o), la nascita della “Nuova Russia” (in Tempo di seconda mano, Bompiani).
La scrittrice ha in iniziato la sua carriera come insegnante e poi come giornalista, studiando all’Università di Minsk tra il 1967 e il 1972. Ha poi sentito la necessità di denunciare i lati più oscuri della storia del suo Paese. “Putin, che ha l’87% del consenso della popolazione, esalta l’idea del grande stato sovietico, della vastità del territorio, dell’importanza delle risorse e dell’orgoglio di essere russi e di difendere la Patria. C’è propaganda continua alla televisione e nei giornali di Stato. Mentre quelli dell’opposizione sono praticamente inesistenti, si trovano solo nelle grandi città”, ha detto la Aleksievich che invece nei suoi libri ha denunciato i danni che le guerre hanno lasciato sul campo, nella psicologia delle persone. Ha dato voce ai sopravissuti, agli spettatori e ai reduci degli orrori.
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