All’Aquila l’arte smonta le identità di genere e dello spettacolo

Il festival della performance 2022 del Museo Maxxi ha offerto spettacoli che sorprendono: eccovi una scelta. I commenti di spettatrici e spettatori

Spettacolo al festival "Performative" del Maxxi L'Aquila
Alessandra Cristiani in “Opheleia”, festival “Performative 02”, Museo Maxxi L’Aquila. Foto Francesco Scipioni
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Stefano Miliani Modifica articolo

20 Settembre 2022 - 22.36 Globalist.it


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La Sala della Voliera del museo Maxxi all’Aquila alle 19 di venerdì 16 settembre è un teatro bizzarro, fiabesco, dai colori pastello, dove prendono corpo strane forme e personaggi fantasiosi. Madison Bycroft, australiana di stanza a Marsiglia, mette in scena una performance-spettacolo avvolgente, spiazzante, “It’s Brimming”: canta, si nasconde in abiti assurdi, riemerge tra forme improbabili, la affianca alle sonorità dal laptop e altre azioni Louise BSX, musicista dall’identità sessuale sconfinante. È il loro atto proposto a “Performative 02”, seconda edizione del festival della performance dell’istituto aquilano che spazia tra danza, teatro, musica, conferenze.
Con quell’atto la Bycroft e Louise BSX suggeriscono una cosa precisa: le storie, le identità di genere, sono costruzioni sociali, impalcature da smontare. Tra filastrocche, elettronica, rumori, gesti apparentemente insensati, in un profluvio di colori dal rosa al verde al giallo, l’artista accompagna gli spettatori in territori poco familiari dove ogni confine, culturale, sessuale, ideologico, si sfalda.
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Madison Bycroft con Louise BSX nella performance “It’s Brimming”, festival “Performative 02” del Museo Maxxi L’Aquila. Foto Stefano Miliani

Con lucidità Maria Grazia Macciocchi, dopo aver visto “It’s Brimming” , osserva: “L’artista ha un approccio al linguaggio che condiziona l’umanità. Madison Bycroft e Louise BSX mi ha fatto capire che abbiamo legami con costruzioni prestabilite del linguaggio, che loro vogliono essere liberi da qualsiasi vincolo, fanno riflettere sul nostro modo di pensare, di agire, di parlare, perché abbiamo paletti”. È insegnante e in poche parole coglie il senso dell’azione del duo e della performance, forma d’arte esplosa negli anni ’60 e ’70, approdata a una dimensione di massa grazie al successo di Marina Abramovic e, in Italia, rilanciata ironicamente dalla parodia sulla performer slava a opera di Virginia Raffaele.

Del festival “Performative 02” si può dar conto di qualche appuntamento che vuole essere anche un’esperienza di vita per chi assiste. A partire dal bellissimo e avvolgente “Sonora Desert” di Muta Imago organizzata nel rinascimentale Palazzetto dei Nobili concesso dal Comune.
Qui la compagnia dapprima introduce un numero selezionato di spettatori (stavolta nove, possono arrivare a 22) in una stanza in penombra tra canzoni messicane e tex-mex in sottofondo, e sulle pareti si leggono brani di diari con frasi tipo “questo deserto è il silenzio del tempo” oppure che a 51 grandi di temperatura “si rischia di sparire nel vero senso della parola”. Sono appunti, ripresi da autori come il poeta e scrittore beat Bryon Gysin, il filosofo Jean Baudrillard o lo scrittore Aldous Huxley, sul deserto di Sonora, terra dei cactus a candelabro tra Messico e Stati Uniti diventata un’icona dell’epopea western.

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I partecipanti sulle amache nella performance “Sonora Desert” di Muta Imago nel Palazzetto dei Nobili, festival “Performative 02”, Museo Maxxi L’Aquila. Foto Francesco Scipioni 

Una volta immersi in queste suggestioni, Muta Imago porta i partecipanti in una sala semibuia con stucchi e affreschi, invita a distendersi su delle amache e, una volta distesi, una pellicola semitrasparente sugli occhi filtra quanto si vede. Gradualmente salgono suoni, rumori, un rombo, luci azzurre, arancio, giallo, bianche filtrate dalla pellicola diventano indefinite, come un’alba o un tramonto lontano, suoni e luci evocano lo spazio nitido e senza ingombri di un deserto.
“Mi ha colpito il filtro agli occhi e mi ha stimolato un’idea per una direzione di ricerca, ogni opera d’arte in fondo è un filtro”, annota Simone Ciglia, storico dell’arte contemporanea chiamato dal festival a tenere una conferenza, che due anni fa si è trasferito negli Usa e dove, nel South West, è passato per deserti come quello del Joshua Tree National Park. “L’esperienza del deserto è tra le più forti”, ricorda.

Alessandra Cristiani in “Opheleia”, festival “Performative 02”, Museo Maxxi L’Aquila. Foto Francesco Scipioni

“Opheleia” di Alessandra Cristiani è una performance struggente e forte alla quale contribuisce la musica che dà un disagio voluto, per esempio con i rintocchi che sono come i colpi di scure di un boia. L’artista ha una grande fisicità, dalle posizioni e contorsioni si vede quanto lavora sul corpo, lo vedo, io faccio danza”. Lo riferisce Giulia Aleandri, insegnante, a proposito della performance nel cortile del museo in cui la danzatrice rievoca la figura di Ofelia, la sfortunata eroina di Shakespeare, arrivando a spogliarsi dell’abito verde di raso per rotolare nuda, dolente e disperata tra dei fiori sulle pietre.
“È una perfomance intensa, con poco arriva all’immaginario collettivo”, riconosce acutamente Diletta, studentessa, che ha apprezzato molto lo spettacolo.

Gli studenti dell’Accademia di Belle Arti dell’Aquila con gli spettatori al festival “Performative 02”, Museo Maxxi L’Aquila. Foto Stefano Miliani

La pratica dei contatti ravvicinati torna. La mattina di sabato 17 le studentesse e gli studenti dell’Accademia di belle arti aquilana, istituto co-organizzatrice del festival con il museo, con “E.R.A. Esercizi di riflessione applicata” intrecciano contatti diretti, di mani, di sguardi, di ascolto, con gli spettatori-partecipanti che si prestano al contatto. Quel contatto che spesso vuole disorientare ed è, o dovrebbe essere, una caratteristica di una performance: portarci fuori da sentieri rassicuranti, da territori conosciuti a memoria, dalle certezze.

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Palazzo Ardinghelli, sede del Museo Maxxi L’Aquila, durante il festival “Performative 02”. Foto Francesco Scipioni

Una constatazione finale: a tutti gli appuntamenti qui riportati c’era tanto pubblico quanto ne consentiva lo spazio scelto. In quattro giorni con appuntamenti, dal 15 giovedì pomeriggio alla domenica 18, il Maxxi Aquila ha contato “almeno 2.500 presenze”: Bartolomeo Pietromarchi, direttore dell’istituto abruzzese emanazione del Maxxi nazionale di Roma presieduto da Giovanna Melandri, si dichiara “molto soddisfatto dei risultati della seconda edizione che conferma il successo di questo format”.

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