Genesi e sviluppo di una nuova creazione e reazione al recente riconoscimento come Centro Coreografico nelle parole di Roberto Zappalà, coreografo della compagnia.
“I miei spettacoli nascono sempre da un percorso – ha spiegato Zappalà -. Lavoriamo da diversi anni su un progetto che nella sua interezza si chiama ‘transity humanitatis’ che ha avuto un inizio e non necessariamente avrà una fine definitiva. Nel caso specifico ci interessava tracciare un percorso sull’umanità. Abbiamo iniziato con Eva , quindi, abbiamo trattato l’argomento della bellezza umana e poi io ho iniziato ad sentire l’esigenza di indagare l’umanità, il corpo e quindi anche per richiesta del teatro Bellini di Catania, che voleva un lavoro di danza contemporanea è nato quest’ultimo spettacolo: La Nona”.
Ha aggiunto il coreografo: “Ho molto riflettuto sulla richiesta del Bellini e sono giunto a trovare un’assonanza tra la mia idea e quella che ha stimolato Beethoven a scrivere La nona. Quindi ho unito l’esigenza da parte di un teatro d’opera di avere una musica importante e la mia di indagare l’umanità scegliendo la nona sinfonia dato che Beethoven l’ha scritta per auspicare una fratellanza, una comunione di intenti che a quei tempi era legata a un’Europa geografica non certo politica, mentre il nostro lavoro è basato su un’idea di fratellanza e comunione tra i popoli più globale perché se oggi un conflitto esiste è globale”.
No, tutto lo spettacolo parla di quest’idea. Al centro di questo progetto c’è l’idea di un “umanesimo del corpo”. Perché l’umanesimo voleva originariamente mettere in primo piano l’anima invece io credo che il nuovo umanesimo debba essere basato sul corpo. Sembra una cosa banale detta da un coreografo, dato che noi lavoriamo sul e con il corpo. E certo nel mio lavoro il corpo è centrale ma nei miei lavori e con i miei danzatori cerchiamo di lasciare il formalismo legato alla danza, all’estetica formale della danza, per dare più spazio ad un corpo umano, sociale, di natura sociale, che si muove e gesticola anche con la gestualità dell’uomo comune. Quindi in questo spettacolo ci sono un’ora e venticinque di danza, ma anche di voce e musica e tutto concorre a rappresentare l’umanità attraverso il corpo, nel corpo e oltre.
In che senso dal suo punto di vista un nuovo umanesimo deve mettere al centro il corpo e perché, in un momento in cui il corpo è particolarmente strumentalizzato dalla nostra società?Proprio per questo. Ai tempi dell’umanesimo c’era lo spirito a sovrastare tutto, ed era la parte spirituale a coinvolgere di più l’umanesimo. In realtà non c’è mai stato un umanesimo del corpo. Ma proprio in questo momento siamo sovrastati da immagini che distruggono il corpo, e sempre meno delle immagini che distruggono lo spirito, ed è anche più difficile farle vedere, sono meno dirette. Ciò che vediamo quotidianamente sono proprio i corpi maltrattati e usati. Nel caso della Nona il sottotitolo è emblematico: “da caos al corpo”. Qui ci può essere una doppia lettura: di un caos insito nel corpo, che è una macchina tanto potenzialmente perfetta quanto caotica, che a volte impassisce o al caos sociale ma dove il corpo è sempre protagonista, quello che la gente pensa a curare ancora più dello spirito. Infatti, il lavoro attraverso il corpo va ad indagare l’idea della fratellanza e arriva ad esplorare la spiritualità. Ed ecco perché La nona di Beethoven, di cui molti conoscono solo l’inno alla gioia e molti non conoscono la versione che utilizziamo noi, quella con due pianoforti ritrascritta da Listz. Beethoven non pensava alla gioia come la intendiamo noi terreni, come una festa. La gioia di Beethoven è una gioia solenne, che ci deve elevare verso l’alto e questo volevo rappresentare con questo spettacolo, da cui l’approdo alla dimensione spirituale della gioia.
Quindi da questo punto di vista si può dire che il corpo posto al centro sia “tempio” dello spirito?Assolutamente si. Nel primo umanesimo lo spirito era al di sopra del corpo, e senza presunzione ma con molta umiltà noi vorremo fare appunto un umanesimo del corpo in cui il corpo si faccia tempio dello spirito.
Oltre ad un nuovo debutto, c’è un’altra novità: siete stati nominati recentemente “Centro Coreografico”?Questa nomina cade proprio nel nostro 25° anno quindi ci porta a festeggiare doppiamente e sembra sia un encomio alla storia della compagnia. Abbiamo accolto questa nomina con grande piacere, ma anche con consapevolezza che sarà un compito impegnativo. Cercheremo di dare continuità a quello che fino ad oggi abbiamo fatto, perché noi abbiamo sempre fatto quello che oggi riferiamo al Ministero faremo. Abbiamo sempre fatto residenze, facciamo e promuoviamo da sempre alta formazione, quindi continueremo a fare tutto questo con un’effige ministeriale che ci fa piacere avere perché è un riconoscere di una realtà esistente e una grande legittimazione. Siamo anche consapevoli che sono state scelte solo tre realtà e questo non vuol dire che non ci siano altre strutture valide. Sono sicuro che sono molte le strutture e piattaforme di danza valide in Italia e che l’unione fa la forza, quindi mi auguro che nel tempo ci saranno più e più centri coreografici, in cui si creino spazi di incontro di giovani e meno giovani, in cui possano essere sostenuti sempre più progetti e non solo debutti. Quindi auspico allo svilupparsi di un’idea di creazioni di reti di circuitazione di spettacoli, di presenza delle realtà della danza per tempi più lunghi sul territorio in modo che possano nascere delle relazioni tra mondo della danza e territorio, in modo che le varie realtà della danza possano esistere nei luoghi di frequentazione più ovvia e normale non solo d’eccezione.