Il film di Marcello di Noto, non raconta la mafia, ma un sistema dal quale è difficile uscire

Arriva al Cinema ,a partire dal 19 Agosto,"L amore non si sa" del regista e sceneggiatore Marcello di Noto. Si tratta della sua opera prima che segna il suo debutto come regista cinematografico

Il film di Marcello di Noto, non raconta la mafia, ma un sistema dal quale è difficile uscire
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13 Agosto 2021 - 15.21


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di Alessia de Antoniis

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L’amore non si sa, opera prima di Marcello Di Noto, con Antonio Folletto (Denis), Silvia D’amico (Marian), Diane Fleri (Nina), Gianni D’Addario (Aldo) e Simone Borrelli (Antonio) arriva al cinema giovedì 19 agosto.

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La pellicola, attraverso la storia di Denis, racconta l’impatto che l’illegalità, l’omertà e la rassegnazione, hanno sulla coscienza delle persone.

 

Denis, musicista e donnaiolo, lavora e si diverte sulla scia del business neomelodico gestito dalla malavita, senza farsi troppe domande. Quando si trova, suo malgrado, nel mezzo di un regolamento di conti, Denis non può fare a meno di accorgersi che il futuro non può esistere finché continuerà a camminare nel bagnasciuga delle logiche omertose. Grazie all’amore per Marian, travolgente e passionale, Denis troverà la forza di ribellarsi alla cricca di “onesti” criminali che abitavano abusivamente la sua vita. E lo farà a modo suo: senza eroismi, tragedie o ripensamenti. Pura forza dell’istinto. Pura forza dell’amore.

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Il film è prodotto da Ideacinema Scirocco Cinematografica, in collaborazione con Rai Cinema.

Classe 1997, Marcello di Noto, dopo la laurea a Palermo, si trasferisce a Roma. Dopo una breve esperienza nel teatro, nel 2005 fonda la sua casa di produzione, la Scirocco Cinematografica, con la quale ha realizzato cortometraggi, spot, documentari e videoclip.

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L’amore non si sa segna il suo debutto alla regia cinematografica.

 

 

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L’amore non si sa arriva in sala il 19 agosto. Un’opera prima e una scelta coraggiosa, visto che molte produzioni sono uscite direttamente sulle piattaforme.

È un modo per dire che questa macchina o riparte o si ferma per sempre. Il mio film è piccolo rispetto a questa ripartenza, ma è il nostro contributo. È un momento cruciale. Se i grandi film non vanno in sala, il cinema non riparte più.

 

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Hai studiato con Camilleri…

Sognavo di fare regia. Non sapevo da dove iniziare e ho fatto un corso di sceneggiatura e regia cinematografica con Camilleri e Tornatore. Sono stato fortunato. Potrei fare un film solo sul corso tenuto da Camilleri. Ogni sua lezione era uno spettacolo teatrale.

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Falcone diceva che per combattere la mafia serviva gente del sud, perché devi innanzitutto capirne il linguaggio. Lo stesso vale anche per chi racconta la mafia?

Il film vuole dire proprio questo. Ma non solo per quanto riguarda la mafia. Denis lo fa capire chiaramente. Per parlare di qualcosa, devi esserne informato. Il film però non racconta la mafia, ma la sensazione di essere all’interno di un sistema del quale non riesci a controllare né le regole, né le conseguenze di quello che accade. Denis, il protagonista, è in balia delle onde e non sa cosa fare.

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L’amore non si sa nasce da un episodio che mi è successo tanti anni fa a Palermo. Frequentavo un piccolo bar e un giorno lo trovo chiuso con i sigilli della polizia. Poi leggo sul giornale che era entrato un uomo, a volto scoperto, aveva accoltellato il barista e poi era uscito camminando tra lo stupore degli astanti.

 

E, nonostante i testimoni, non era stato fatto un identikit preciso. Ovviamente, quello che viene fuori in questi casi è che i siciliani sono omertosi. A distanza di trent’anni da quell’episodio, il film fa una semplice riflessione: assisti ad un simile omicidio, a sangue freddo, e sai che tuo figlio va a scuola a 150 m da quel posto. Sei davvero in grado di prenderti la tua responsabilità? Questa è la domanda. La risposta non c’è . Ci sono persone come Falcone, Borsellino e tantissimi altri, che si sono assunti una responsabilità e hanno pagato. Puoi pagare con la vita oppure con il fatto che devi rimanere nascosto per anni. In qualche modo paghi il tuo senso di responsabilità e di eroismo.

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Ci sono persone che non se la sentono. La cosa che non si dovrebbe fare è giudicare. Soprattutto senza aver vissuto una simile esperienza. È questo che vuole dire Denis. In una scena, dopo che molti gli avevano chiesto chi fosse il killer, dice “adesso però te lo dico all’orecchio”. Così ognuno è costretto ad assumersi la sua responsabilità di fronte alla comunità.

La tua pellicola parla di criminalità, ma anche di amore saffico, di amore liquido. La mafia lo considererebbe un film “politicamente corretto”? Che modo è di raccontare quel tipo di società?

Nel fare il film ci siamo posti l’obiettivo di destrutturare la parte sociologica e relegarla solo ad una domanda: ma tu sei sicuro che agiresti? Questa è la domanda che si fa il film. La parte violenta della malavita è stata raccontata in tutti modi possibili da film e sceneggiati. Ci siamo concentrati sul creare personaggi che sono “Gomorra nel weekend”. Ci siamo chiesti: che fa Gomorra nel weekend?

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Abbiamo voluto raccontare una storia cruenta dal punto di vista dell’amore, perché i sentimenti sono ovunque. E sono sentimenti di ogni tipo. Che cos’è che muove sempre le persone verso qualcosa? Denis è mosso dall’amore per Nina, ad esempio.

Nina che passa per la vittima, che lo è, che ha un viso angelico, e che, in realtà, è il personaggio doppio del film. Nina che inganna tutti. La cosa affascinante è che anche nella nostra testa i contorni dei personaggi non sono definiti. Anche noi arriviamo a capirli fino a un certo punto. Ci siamo chiesti quale fosse il confine, per Nina, tra il ruolo da infiltrata e le sue relazioni d’amore. Nina è sicuro che è omosessuale nella vita. Mentre Marian dice “la prima volta che mi ha baciato, non avevo mai baciato una donna”. È Nina a trascinare Marian in questa situazione. È tutto molto sfumato. Ci sono cose che non sappiamo neanche noi nel film.

Neanche lo sceneggiatore, Pier Paolo Zerilli, sa se veramente Denis ha visto o meno il killer in faccia. Denis nega con tutti. È vero o no? Se lo ricorda improvvisamente? Non lo sappiamo. Anche Aldo non ha dei contorni ben preferiti definiti: sembra un cretino che non è in grado di prendere nessuna decisione e poi, a un certo punto, spara e uccide. In un gesto di appartenenza mafiosa. È questa mentalità che volevamo portare il scena: l’appartenenza a qualcosa che neanche capisci del tutto.

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Tutti i personaggi sono un po’ incoerenti. La coerenza non sempre è una virtù.

Il sottotitolo potrebbe essere la frase di Nina “è quando non succede niente che succede tutto”?

Consideriamo questa frase importantissima. È l’ultima frase che dice Nina prima di morire. Non è messa a caso.

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Come vedi il film dopo due anni dalla sua realizzazione? Quali sono ancora i suoi punti di forza?

La recitazione degli attori: cambierei diverse cose, ma non la loro recitazione.

A me piace mettere insieme situazioni che, dal punto di vista razionale, sono completamente improbabili. L’amore non si sa è girato tutto in un non luogo, mette i personaggi in una situazione non credibile. Tutte le scene sono girate in due luoghi. Il primo omicidio avviene dove finisce il film. Anche il commissariato in realtà è allestito in una camera mortuaria, dove ho messo un tavolo: non perché non potessi riprodurre un commissariato, ma perché trovo utile mettere gli attori in situazioni surreali. Mi piace portare lo spettatore in un posto che trasmetta un leggero fastidio. Poi, attraverso la recitazione naturale degli attori, portarlo nella storia. Se gli attori non sono credibili, questa operazione fallisce.

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La recitazione e la messa in scena mi piacciono e girerei ancora così. Ovviamente, rafforzerai la trama nei punti dove potevo chiarire meglio.

È comunque un’opera prima: non credo sia facile passare dai cortometraggi a un lungometraggio

Lo dicono tutti, ma finché non lo fai non ci credi. Sono vent’anni che lavoro in questo campo. Eppure pensi che fare un lungo sia come fare un corto un po’ più grande. Ma non è così. È una macchina che non riesci a guidare da solo. È un’esperienza molto formativa. Non puoi cercare di controllare tutto, perché il film è più grande. È importante affidarsi alle persone che sono in squadra con te. Un lungometraggio è un gioco di squadra.

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La mia fortuna è stata di avere una grande squadra. Il direttore della fotografia, Giuseppe Pignone, la costumista che è mia moglie, lo scenografo, l’aiuto regia. Mi hanno tutti aiutato a realizzare un film impegnativo con un budget ridotto. Se lo girassi di nuovo, cercherei di essere meno presente e lasciare più spazio al resto della squadra.

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