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Netflix e le piattaforme dell’intrattenimento video sbancano i Golden Globes 2021

La cerimonia ha visto alternarsi sul palco, in presenza, le star che consegnavano i premi e, da remoto, i premiati, chi in salotto, chi perfino in cucina. In una manifestazione insolita, privata dall' abituale red carpet

Netflix e le piattaforme dell’intrattenimento video sbancano i Golden Globes 2021
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

5 Marzo 2021 - 11.46


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L’edizione 2021 dei Golden Globe, la 78ª della sua prestigiosa storia, sarà ricordata come la prima dell’era pandemica. Condotta in contemporanea dalle attrici comiche Amy Poehler in diretta dal Beverly Hilton Hotel di Los Angeles – tradizionale location dell’evento organizzato dalla Hollywood Foreign Press – e Tina Fey, che si trovava invece a New York, nella Rainbow Room, in cima al Rockefeller Center, la cerimonia ha visto alternarsi sul palco, in presenza, le star che consegnavano i premi e, da remoto, in collegamento dalle loro case, i premiati, chi in salotto, chi perfino in cucina. Una manifestazione forse un po’ caotica, e priva di quel pomposo apparato da red carpet che di solito la caratterizza, tra sfilate e primi piani, rimpiazzati da uno split screen con le due comiche impegnate in siparietti per animare la serata. Scenette un po’ tristi, in verità, ma in questo periodo c’è poco da stare allegri, malgrado i sorrisi smaglianti.

E se la polemica ha avvelenato lo svolgimento della manifestazione, con le aspre critiche indirizzate dal sindacato dei registi e da varie associazioni per la promozione dell’uguaglianza alla giuria della Hollywood Foreign Press, in cui non figuravano membri di colore, la risposta non si è fatta attendere: i primi riconoscimenti sono andati agli attori neri Daniel Kaluuya, interprete di Judas and the Black Messiah, storia dell’attivista Fred Hampton, a capo della sezione dell’Illinois delle Pantere Nere, ucciso dall’FBI, e John Boyega, per il ruolo del poliziotto che lotta contro il razzismo nell’Inghilterra anni Sessanta nella miniserie televisiva “Small Axe”, diretta da Steve McQueen (non, non è redivivo, si tratta un omonimo) per la BBC One.

Nella categoria dei film stranieri ad aggiudicarsi il Globe è stato Minari, diretto da Lee Isaac Chung, americano di origine sudcoreana: parlato in coreano ma girato negli Stati Uniti, narra la vicenda (autobiografica per Chung) di una famiglia di immigrati dalla Corea del Sud che vuole stabilirsi in Arkansas e del rapporto fra tradizioni familiari e inserimento nella società di accoglienza. Non ha dunque trionfato, come si sperava, il nostro La vita davanti a sé, con Sophia Loren e la regia del figlio Edoardo Ponti, che ha comunque conquistato un ambito riconoscimento, quello per il miglior brano musicale, la canzone “Io sì” (versione italiana di “Seen” di Diane Warren) interpretata da Laura Pausini, la quale, in collegamento da casa, ha espresso tutta la sua commozione e gratitudine, dedicando il premio agli affetti più cari e soprattutto al nostro Paese.

Ma questa edizione sarà ricordata anche per essere stata forse la prima in cui lo star system di Hollywood, da sempre abituato a fare la parte del leone, ha visto il proprio dominio fortemente ridimensionato dalle grandi piattaforme dell’intrattenimento video, a partire da Netflix per arrivare ad Amazon, Apple TV+, Hulu e Disney+. Ben dieci riconoscimenti sono andati proprio a Netflix, tra cui quello per la migliore miniserie (La regina degli scacchi) e per la migliore serie drammatica (The Crown, sulle vicende della famiglia reale inglese, giunto alla quarta stagione e premiato anche per i suoi interpreti); a sua volta Amazon si è qualificato per il miglior film commedia grazie a Borat 2.

Anche le produzioni televisive sono passate all’incasso: doppio riconoscimento per Schitt’s Creek, miglior sit-com realizzata dalla canadese CBC Television, e per la sua interprete, Catherine O’Hara. Come miglior attore di una serie drammatica ha poi vinto Mark Ruffalo per la miniserie trasmessa dalla HBO I Know This Much Is True, in cui interpreta due fratelli gemelli.

E tuttavia la vecchia guardia del cinema non è rimasta a guardare: il premio per il miglior film drammatico è stato assegnato a Nomadland, prodotto dalla Fox Searchlight Pictures, scritto, diretto, coprodotto e montato da Chloé Zhao, giovane e talentuosa regista indipendente cinese, prima donna dopo 37 anni a ricevere il Globe (il precedente era stato assegnato nel 1984 a Barbra Streisand  per il suo Yentl) e prima artista di origine asiatica a esserne insignita. La pellicola, interpretata dalla straordinaria Frances McDormand, aveva già ha vinto il Leone d’oro alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, a testimonianza del suo indiscusso pregio: la vicenda si incentra sull’esistenza raminga, da nomade, appunto, di una donna rimasta vedova durante la grande recessione economica, sulle sue esperienze e gli incontri con persone nelle stesse condizioni, in un pellegrinaggio “attraverso il dolore e il suo superamento”, quando “tutte le barriere crollano”.

A suggellare questa particolarissima edizione dei Golden Globe è arrivato infine l’intervento sul palco di Los Angeles della sempre splendida Jane Fonda, in tailleur bianco e capelli argentei, insignita del premio Cecil B. DeMille alla carriera, che nel suo discorso ha invitato a superare le differenze in nome dell’arte e del suo potere di parlare al cuore della gente: perché tutti, nessuno escluso, hanno una storia degna di essere ascoltata

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