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Un film che merita di essere assoutamente conosciuto – quantomeno, se si vuole, in corto – è costituito da https://www.youtube.com/watch?v=zWP3kGx5XfI
rifacimento da Der gelbe Schein (1918) e Mazurka (1935), con P.Negri – presente tramite il titolo, per quanto pertiene lo spezzone qui indicato – Linda Judia.
Appare la figura dimessa di una giovane ragazza desiderosa di un salubre futuro – differente, e costretta invece a condizione di evidente schiavitù.
Da questo spezzone si può evincere purché si abbiano occhi (e mente) al fine di intendere – decifrare quanto necessario: si vede questa ragazza che lava, accudisce, si muove tra la miseria e che sogna, di fatto, una nuova vita trasportata dal ballo, circondata dalla società, nella sala di un’imbarcazione: è contenta, felix: a circondarla gente sfarzosa, elegante. Anche più di lei: si diverte. Inoltre, qui sarebbe importante riflettere – intorno a questo spezzone – per quanto pertiene la reale (è bene saperlo) condizione che attanagliava ad esempio la cosiddetta popolazione ebraica (erano cittadini a tutti gli effetti dopo la Rivoluzione francese e le misure libertarie assunte dai governi ottocenteschi) vivente nei territori dell’Europa orientale, che secondo i dettami nazisti non avrebbe dovuto ancora vivere.
Erano questi (tranne che, manifestamente, in città quali Praga e/o Varsavia dall’antica tradizione culturale) esseri dediti prevalentemente all’artigianato o ai baratti – come nel caso di contesti rurali quali Opoczno o Łódź – i quali rasentavano il limite imposto/rimasto alla popolazione in seguito alle ghettizzazioni/persecuzioni sospinte anche dalla Chiesa. Rispetto allo sguardo di questa donna sarebbe importante, quindi, soffermarsi. Al fine di notare. Cambiare quel che è necessario per tutti (i popoli) affinché non ci si ritrovi, chi più chi meno, in simili condizioni: quelle di chi non osa pensare mentre altri si impadroniscono, di fatto, del proprio destino.
Lea è con tutta evidenza una donna che sogna – abbandonata tuttavia da una (qualsivoglia) autorità di carattere democratico che non concede speranze nel suo essere chiaramente inesistente a quel desiderio di auspicato cambiamento: è un uomo che si avvicina a lei sobbarcandola evidentemente di sofferenza: un individuo che sembra promettere e, invece, debolissimo, occupa quello spazio che l’azione operosa della donna – sostenuta da una società approvigionante – avrebbe dovuto cambiare portando infine a sovranità quell’esistenza.
Su questo aspetto oggi occorrerebbe riflettere al fine di portarsi su un sentiero che miri la crescita esponenziale passando per quella individuale purché si contribuisca.