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L’Azzurro Scipioni chiude i battenti: la pandemia ha mietuto un’altra vittima nella cultura italiana

I motivi? Banalmente economici, come ha chiarito il regista Silvano Agosti, per l’impossibilità di continuare a pagare un affitto divenuto esoso per via dei mancati incassi a causa della pandemia.

L’Azzurro Scipioni chiude i battenti: la pandemia ha mietuto un’altra vittima nella cultura italiana
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Giuseppe Costigliola Modifica articolo

27 Dicembre 2020 - 09.41


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L’annuncio è di quelli che lasciano l’amaro in bocca: il cinema Azzurro Scipioni di Roma, nato nel 1983 dall’originalità inventiva del regista, sceneggiatore, poeta e filosofo Silvano Agosti, che scelse la capitale per avviare un innovativo esperimento di fruizione artistica, chiude i battenti. Lo ha annunciato lo stesso fondatore, che in un’intervista rilasciata alla rivista Rolling Stone ha spiegato le ragioni di tale scelta.

La due sale in cui il cinema si articolava, dedicate a Chaplin e a Lumière, che per quasi quarant’anni hanno deliziato schiere di cinefili con proposte di qualità e al di fuori delle logiche di mercato, rappresentavano uno spazio dedicato ai capolavori della settima arte, 360 per l’esattezza, un polmone vitale nell’attività culturale di una città sempre più frenetica e distratta. Ovviamente le difficoltà non sono mancate, ma Agosti, con la pervicacia e la caparbietà che distinguono le persone animate da un ideale solido e soprattutto dalla passione per il proprio mestiere, era sempre riuscito a tenere in vita la sua creatura, amatissima da un affezionato pubblico di spettatori. Ora la temuta chiusura, tanto dolorosa quanto obbligata. I motivi? Banalmente economici, come ha chiarito il regista bresciano a Rolling Stone, per l’impossibilità di continuare a pagare un affitto divenuto esoso per via dei mancati incassi a causa della pandemia. L’unica possibilità per continuare le proiezioni sarebbe un’acquisizione da parte del comune o dello stato, auspicabile in un momento in cui le arti dello spettacolo e la cultura in genere sono attanagliate da una crisi che sembra interminabile.

In un’epoca in cui le modalità di fruizione dei film sono profondamente mutate, in cui dalla poltroncina di una sala si è passati al divano di casa, prima con l’home video e ora con lo streaming, con l’ineffabile magia del grande schermo sempre più inaridita e ridotta a merce, non c’è purtroppo da meravigliarsi per una notizia come questa. Solo un intervento dello stato a sostegno di un patrimonio creativo che appartiene all’immaginario di tutti può allontanare lo spettro del definitivo tramonto: perché ogni attacco a un universo artistico come quello del cinema segna un impoverimento, una perdita irreversibile anche in termini civiltà, una restrizione degli spazi di libertà, proprio nel momento in cui l’essere umano ha più bisogno di un vero nutrimento per sfuggire alla barbarie con la forza performante dell’arte.

Chi ha frequentato quelle sale ammobiliate come un salotto, con delle comode poltrone che parevano esser state svelte da un aeromobile, con Silvano che ti accoglieva come in casa sua, non può non provare un triste senso di perdita, anche umana. Perché quelle sale diventavano non solo uno spazio di condivisione di emozioni, con amici e sconosciuti, ma un momento di incontro e di crescita culturale. Non era raro che Agosti, alla fine della proiezione, intrattenesse i suoi ospiti analizzando il film appena proiettato, ponendo domande e fornendo spiegazioni, con la modestia, l’esperienza e l’intelligenza critica che gli riconosciamo. Soprattutto, con la calda umanità che lo contraddistingue, tanto che quando si usciva da quel cinema si aveva la sensazione di esser stati a trovare un amico, di ritrovarsi un po’ arricchiti.

La poesia che Silvano Agosti ha saputo esprimere nelle sue opere ammalianti e nella sua straordinaria attività di promotore culturale, di dolce ma tenace fustigatore di coscienze, rimarrà, questo è certo. Ma è altrettanto vero che la chiusura dell’Azzurro Scipioni è l’ennesimo segno della scomparsa di un modo di fruire l’arte che è condivisione, crescita umana e culturale: ci ritroviamo sempre più affogati negli spazi angusti del nostro privato, incattiviti e depauperati di quella possibilità di autentico incontro e dialogo che soli possono renderci davvero umani.

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