di Chiara Zanini
Porpora Marcasciano, sociologa e scrittrice, è co-direttrice con Nicole De Leo di Divergenti, il più longevo festival cinematografico in Italia dedicato all’immaginario trans, che si svolge da sempre a Bologna. Figura storica del transfemminismo italiano, Marcasciano è Presidente del MIT (Movimento di Identità Trans). L’abbiamo intervistata a pochi giorni dall’inizio di Divergenti, che quest’anno è necessariamente on line, da oggi 26 fino al 28 novembre, gratuitamente disponibile al sito docacasa.it
Divergenti è alla sua decima edizione. È da poco stato ripubblicato il primo dei suoi libri, Tra le rose e le viole (edizioni Alegre), edito nel 2002, vent’anni dopo dall’approvazione della Legge 164 che permette di rettificare l’attribuzione del sesso. Cosa è cambiato per le persone trans nel nostro paese rispetto alla prima edizione di Divergenti e agli anni in cui il festival era diretto da Luki Massa?
Divergenti è nato nel 2008, ma c’è stata una pausa di qualche anno dopo la morte di Luki, icona e anima artistica del festival, scomparsa quattro anni fa. Il distanziamento ci ha portato quest’anno a sperimentarci nel virtuale, un cambiamento totale per un festival che ha sempre tanti ospiti e mostre, spettacoli e presentazioni di libri affollate. Abbiamo comunque organizzato on line, oltre alle proiezioni, un seminario sugli archivi delle persone trans, il 20 novembre per il T-DOR (Transgender Day of Remebrance è la giornata in cui si ricordano ogni anno le persone morte a causa dell’odio transfobico, ndr). E sempre a proposito di archivi trans, ne faremo conoscere uno creato da persone trans in Argentina che hanno vissuto la dittatura di Videla. Ci sarà un convegno di tre giorni, dal 26 al 28 novembre, sulle migrazioni trans. Nel mio libro Favolose narranti ho scritto infatti: «Noi trans siamo migranti in tutti i sensi, migranti di genere e in genere, verso un corpo più nostro, verso un paese più familiare, verso una terra meno ostile».
Ci sono anche due film con Lei come protagonista in preparazione, giusto?
Sì, al festival presentiamo Divieto di Transito di Roberto Cannavò e il prossimo film della regista Roberta Torre, che prende spunto dal mio lavoro culturale. Ci sono anche alcune coincidenze quest’anno. Innanzitutto c’è l’esigenza da più parti di attualizzare la legge 164 del 1982 che regola la rettificazione del sesso: all’epoca le persone trans erano quasi 2mila, mentre oggi sono circa 400mila, stando all’Istituto Superiore di Sanità. Inoltre oggi si parla della possibilità di rendere gratuito l’iter medico della transizione di genere e le sue cure. E sempre quest’anno c’è stata la ristampa del mio primo libro Tra le rose e le viole, della cui importanza eravamo inconsapevoli all’epoca, ma è stato il primo libro in cui le persone trans si narravano. Ha fatto storia.
Chi rende possibile il festival?
Divergenti ha uno staff di tutto rispetto, e poi ci sono persone che aiutano a realizzarlo. Innanzitutto il direttore della Cineteca di Bologna Gian Luca Farinelli. E Chiara Beccalossi, professora associata in Storia moderna e contemporanea all’Università di Lincoln. Ma anche Unhcr (l’Agenzia Onu per i rifugiati), l’Unar, Amnesty International, la Fondazione Dal Monte. E ci aiutano molto anche gli ospiti: quest’anno l’attrice e perfomer Silvia Calderoni è la madrina. E come testimonial abbiamo il giornalista e scrittore Antonello Dose, voce della trasmissione Il Ruggito del Coniglio su Radio 2 Rai, e l’avvocato Gianmarco Negri, primo sindaco trans d’Italia nel comune di Tromello, in provincia di Pavia.
Quanto il cinema può aiutare da un lato le persone trans che non hanno ancora fatto coming out, e le persone cis, ossia non trans, a prendere coscienza dei comportamenti transfobici che fanno purtroppo ancora parte della nostra società?
Un festival è informazione e formazione, il cinema lo è sempre stato. L’esperienza trans è attraversata da stigma e pregiudizi che il cinema può decostruire. E aiuta anche le persone cis a chiarirsi le idee. Il piano culturale per noi è molto importante.
I suoi testi sono stati e sono fondamentali per comprendere il movimento lgbt+. Ciononostante si è trovata settimana scorsa a partecipare ad una lezione all’Università di Bologna in cui un’altra docente, in pensione ma invitata, Gianna Pomata, ha espresso giudizi transfobici. E c’è chi difende la docente.
Da alcuni anni sono invitata a tenere una lezione, sempre affiancata da un’altra persona. La professoressa Gianna Pomata è una storica della medicina e ha insegnato in grandi università, ma quello che ha fatto con il suo intervento la settimana scorsa è stato medicalizzare e patologizzare le persone trans, fino a descriverle come potenziali stupratori di donne. Mi ha ricordato le teorie lombrosiane. E le reazioni di alcune che mi hanno attaccata in maniera violenta sui social confermano che rischiamo un fondamentalismo di donne che parlano di “teoria gender” e “lobby trans” proprio come le destre, accusando noi di non permettere che queste teorie vengano divulgate.