Ugo Tognazzi, dalle macchiette ai grandi della commedia italiana

Attore preferito dei migliori registi anche perché efficace nel disegnare il personaggio del piccolo borghese arrampicatore sociale, del qualunquista protervo, del marito in crisi, del "mostro sociale".

Ugo Tognazzi, dalle macchiette ai grandi della commedia italiana
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Giancarlo Governi Modifica articolo

27 Ottobre 2020 - 09.25


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Dopo tanta gavetta,  finalmente per Ugo Tognazzi, nel 1951, l’incontro fortunato con gli autori Giulio Scarnicci e Renzo Tarabusi e con Raimondo Vianello con il quale formerà una formidabile coppia comica che agirà in teatro, nel cinema e nella televisione.

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Le riviste di Ugo Tognazzi, con Raimondo Vianello e con soubrette come Elena Giusti e Dorian Gray, scritte da Scarnicci e Tarabusi saranno cinque. E tutte di grande successo.

    1. Dove vai se il cavallo non ce l’hai  con Elena Giusti
    2.               Ciao fantasma   con Elena Giusti
    3.               Barbanera… bel tempo si spera   con Elena Giusti
    4.               Passo doppio   con Dorian Gray
    5.               Campione senza volere   con Hélène Remy

 

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Nell’Italia della ricostruzione, il cinema e il teatro leggero hanno un grande rilancio. Gli Italiani vogliono dimenticare, si gustano un presente liberato e pensano a divertirsi. E nel 1954 quella  televisione di cui si è tanto favoleggiato, e che fino ad ora si è vista soltanto nei film  americani, arriva anche in Italia e subito esplode come spettacolo di massa,  nelle poche case che possono permettersela ma soprattutto nei bar, nei circoli e persino nei cinema, che se vogliono avere il loro pubblico devono aspettare che finisca il programma televisivo. Molti addirittura mettono i televisori in sala, per cui molti spettatori vanno al cinema per vedere la televisione che si sta affermando con divi come Mike Bongiorno, come Mario Riva.  E con trasmissioni mitiche come Lascia o raddoppia e Il Musichiere.

Alla televisione approda anche Ugo Tognazzi, insieme a Raimondo Vianello, con il quale fa ormai coppia, e con i fidi autori Scarnicci e Tarabusi.

La loro trasmissione si chiama Un  due tre e  passerà alla storia della giovane televisione italiana, come la più divertente e la più spregiudicata.

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La comicità di Tognazzi e Vianello, supportati da Scarnicci e Tarabusi, partiva dall’osservazione della realtà, mutuata dalle trasmissioni della televisione che costituiscono un patrimonio di conoscenze comune a tutti gli italiani. In un’epoca in cui la televisione non può rappresentare la realtà direttamente e tanto meno riderci sopra, Tognazzi e Vianello ridono della televisione, mettendo in ridicolo i messaggi e i personaggi che rappresenta. Ma questo può essere fatto fino a un certo punto, finché non si toccano i potenti o gli argomenti tabù. E infatti fu la censura a mettere la parola fine, dopo cinque anni di crescente successo, su Un due e tre per un fatto banalissimo. L’allora presidente della Repubblica, Giovanni Gronchi, al teatro San Carlo di Napoli quando dopo aver ascoltato l’inno nazionale andò a mettersi seduto non trovò la poltrona e cadde davanti a milioni di spettatori.

Il giorno dopo a Un due e tre, Tognazzi ripeté per scherzo la caduta e Vianello gli disse: ma che ti credi di essere? Un due tre fu immediatamente abolita.

Per  capire che cosa successe alla coppia Tognazzi-Vianello, bisogna sapere che cosa era la televisione di quel tempo, con  una  censura ferrea e ottusa che considerava i telespettatori come bambini da tenere sotto tutela. Sono gli anni in cui si mettono i mutandoni alle ballerine perché, si dice, la televisione è uno spettacolo per famiglie, in cui tutto è proibito, anche certe parole innocenti come cazzotto (per la radicale), o come magnifica (per la desinenza).

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Sul piano politico, poi, c’è un’adesione perfetta al governo e alle istituzioni, per cui lo scherzo dei due comici, che si riferiscono alla caduta dalla sedia, che gli italiani hanno visto in diretta, del Presidente della Repubblica, è semplicemente inammissibile. Perché riporta alla realtà che è bandita dai teleschermi, dove si possono raccontare soltanto favole e rappresentare mondi inesistenti.

 

Tognazzi non si preoccupò più di tanto dell’ostracismo che gli dette la televisione (casomai più tardi sarà la televisione a preoccuparsi per la sua assenza).

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Dopo le prove del varietà teatrale, cinematografico e televisivo, sta maturando un nuovo Tognazzi. Dopo venti anni di gavetta su tutti i palcoscenici d’Italia e una cinquantina di film al suo attivo, arrivato alla soglia dei quarant’anni è palesemente stanco di indossare maschere farsesche e di proporre le parodie dei film di successo, relegato in un circuito minore. Ha voglia d’altro. E l’occasione per fare altro fu senza dubbio Il Federale, il film della svolta, il film che libera Ugo Tognazzi dal cinema macchietta e lo inserisce a pieno titolo nella grande commedia all’italiana.

Il Federale libera Ugo Tognazzi dal cinema farsesco e lo inserisce a pieno titolo nella grande commedia all’italiana di cui diviene poco dopo uno dei grandi protagonisti, accanto ad Alberto Sordi, Vittorio Gassman e Nino Manfredi.

Da quel momento Tognazzi diventa l’attore preferito dei migliori registi anche perché è particolarmente efficace nel disegnare il personaggio del piccolo borghese arrampicatore sociale, del qualunquista protervo, del marito in crisi, del “mostro sociale”.

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La storia è lunga e ricca di opere e di successi fino al 27 ottobre del 1990, quando Tognazzi muore, all’età di 68 anni.

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