“Koi”, la carpa che insegna la perseveranza agli umani: un documentario imperdibile | Giornale dello Spettacolo
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“Koi”, la carpa che insegna la perseveranza agli umani: un documentario imperdibile

In questi duri tempi di morte e di quarantena forzata, la sua visione può davvero insegnarci qualcosa, come il valore della perseveranza

“Koi”, la carpa che insegna la perseveranza agli umani: un documentario imperdibile
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24 Marzo 2020 - 17.48


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di Giuseppe Costigliola 
Dalle tragedie che ci colpiscono si può uscire più forti. Ce lo insegna l’esperienza, ce lo insegna il mito, ce lo insegna la letteratura. Ciò vale a livello personale, ma anche a livello collettivo, di specie, di Umanità. Uno dei grandi cantori di questo tema, Ernest Hemingway, aveva coniato una frase, che compare nel romanzo Addio alle armi: “Il mondo fa tutti a pezzi, e molti, anche se a pezzi, si rivelano forti”.

Dietro questa massima si cela il concetto della perseveranza, termine che deriva dal greco proskarteresis (pros: oltre, ancora; karteria: costanza), che in quella cultura era legato alla continuità del bene operare, soprattutto a fronte delle avversità. Tommaso d’Aquino ne tramandò il significato: per lui la perseveranza è “uno stabile e perpetuo permanere nel bene”, e riguarda quelle azioni virtuose che è necessario praticare ogni giorno, un agire faticoso dentro e contro le difficoltà.

Queste parole, questi concetti, non sono aria fritta: basta guardarsi intorno, in questi tremendi giorni, per rendersi conto che la perseveranza è esattamente ciò che mettono in pratica le donne e gli uomini che lottano in prima linea, negli ospedali e altrove, contro il micidiale virus che ha messo in ginocchio il mondo.

Queste parole, questi concetti sono il cuore di uno straordinario documentario realizzato da tre nostri giovani connazionali, dal titolo Koi. Spinto da un desiderio di conoscenza, dallo spirito d’avventura e da una necessità di approfondimento umano, il regista, Lorenzo Squarcia, si è imbarcato con alcuni amici su un aereo per il Giappone, chiedendo ad una ragazza che quella lingua studia di accompagnarlo e fargli da interprete. Squarcia, al suo primo lungometraggio, racconta così la genesi dell’opera:

“Il progetto è nato da una lunga ricerca di racconti e personaggi nei territori del Giappone colpiti dallo tsunami nel 2011. Durante questo studio ci siamo imbattuti nelle esperienze di due uomini straordinari, Tomohiro Narita e Yasuo Takamatsu. Abbiamo subito realizzato quanto fosse importante ed emozionante raccontare le loro storie, e l’idea di realizzare il documentario Koi nasce proprio dall’incontro tra le due”.

Tomohiro è un uomo dal passato burrascoso, costellato da uso di droghe, frequentazioni nella malavita, violenza. Lo tsunami, che ha colpito anche la sua città natale, gli stravolge la vita. Con degli amici bikers, tatuatori e musicisti hard rock, fonda un gruppo, “Support the Underground”, e si dà al volontariato nelle zone devastate. In particolare, questi uomini ricercano i resti dei dispersi lungo le coste colpite, per dare un briciolo di pace alle loro famiglie, e il legame che si crea con gli scomparsi, degli sconosciuti, la consolazione che recano ai parenti delle vittime, diviene fonte di gioia e progetto di vita.

Yasuo, un ex militare dell’aeronautica ora autista di autobus, nello tsunami ha perso la moglie. È riuscito a salvarsi perché si trovava nella parte alta della sua città, Onagawa, da dove ha assistito al disastro che l’ha spazzata via. Da quel giorno non ha smesso di cercare la moglie scomparsa, ovunque, tra le macerie, invano. Poi ha iniziato a cercarla in mare. Sei anni dopo quel maledetto giorno ha preso lezioni di immersione, e ha proseguito la sua indomita ricerca. Sa bene che le possibilità di trovarla sono minime, ma è animato dalla speranza di poter rinvenire almeno un oggetto che le appartiene, e in questo suo impegno la sente ancora vicina.

Basterebbe la materia incandescente di tali storie a spingere lo spettatore a vedere questo documentario, ma c’è ben altro. L’opera è realizzata con una maestria tecnica ammirevole, considerata la giovane età del regista e dei suoi collaboratori. Le storie dei due protagonisti sono sapientemente intrecciate tra loro e con quelle di altri personaggi che recano la loro accorata testimonianza di quell’evento epocale, le immagini scorrono fluide e con ritmo narrativo, sono perfettamente fuse in un simbolo unificante. Squarcia ha curato anche la fotografia, e la sceneggiatura insieme con Simone Spampinato, che l’ha montata con Manuel Grieco: i tre sono soci della società che ha prodotto il documentario, la Jumping Flea: siamo davanti ad un notevole caso di artisti-produttori che con talento e spirito imprenditoriale trovano le risorse per realizzare le proprie idee.

La narrazione è resa ancor più toccante e struggente dal commento musicale di Angelo Badalamenti, con le sue atmosfere cupe e intimiste. Contattato dagli autori, il grande, anziano musicista è rimasto emotivamente coinvolto dal progetto, ed ha accettato di impreziosirlo con la sua arte, derogando alla decisione di non lavorare più.

Dunque, il documentario nasce da un anelito di ricerca umana, di fratellanza universale. Temi come la solidarietà, il riscatto, la diversità, l’emarginazione, il pregiudizio, l’inviolabilità e la responsabilità della memoria ne spiegano il grande impatto emotivo, con le domande che esso sottende: può la perseveranza lenire il dolore lasciato da una catastrofe? Può un uomo ritrovare la pace attraverso la ricerca di quel che resta del proprio passato? Non a caso in quest’opera risuonano antiche corde: le storie di Tomohiro e di Yasuo evocano alla mente la vicenda dell’Antigone sofoclea, che contro ogni precetto dà una sepoltura onorevole al corpo del fratello, per poterlo finalmente piangere in pace.

A testimoniare l’universalità di questo concetto, in Giappone esiste una leggenda su un pesce, la carpa Koi, che del documentario è titolo e simbolo unificante. Questo colorato pesce d’acqua dolce, considerato tra i più forti ed energici, è in grado di nuotare controcorrente, cosa che viene interpretata come emblema di anticonformismo, determinazione nel seguire la propria via e forza nel superare le avversità. La leggenda narra che, se la carpa riesce a risalire le ripidissime cascate Ryumon (“cascate della porta del drago”), sfregiandosi nel temerario tentativo, può trasformarsi in un drago immortale.

E ciò che contraddistingue Yasuo e Tomohiro, pur nella diversità delle loro esistenze, è proprio la perseveranza con cui dedicano la loro vita all’attività di ricerca, la costanza con cui resistono alle avversità, ai pericoli della natura, ai pregiudizi della gente: l’insegnamento della carpa Koi è per loro vitale, a tal punto che Tomohiro se l’era fatta tatuare sulla spalla destra, quando perseguiva il successo in campo musicale. Perché ognuno può risalire la propria cascata personale. Perché, come insegna Hemingway, ognuno, seppure a pezzi, può uscire più forte dal disastro.

E così, da tutti questi elementi, un gruppo di talentuosi ragazzi, eredi e prosecutori della grande tradizione documentaristica del nostro Paese, ha saputo cogliere lo spunto per raccontare una storia geograficamente e culturalmente lontana, in realtà universale.

Il documentario è disponibile presso le maggiori piattaforme di streaming: Amazon, iTunes Store, Vimeo On Demand, Google Play. In questi duri tempi di morte e di quarantena forzata, la sua visione può davvero insegnarci qualcosa. Come le parole di un personaggio intervistato: “Tutti dovrebbero vedere quel che ho visto io. Penso che davanti a questa tragedia l’umanità abbia il dovere di non dimenticare”.

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