“Siamo in un’epoca trasformista, populista, molto poco ragionata, mio padre s’indignerebbe ancora”. L’uomo che s’indignerebbe è il regista Francesco Rosi, chi parla così all’Ansa è la figlia Carolina a Venezia: “Continuerebbe a difendere i valori imprescindibili della democrazia, a lottare per i valori in cui ha sempre creduto”.
Carolina Rosi era aiuto regista del padre e si occupa del suo cinema, di ricordarlo o farlo conoscere anche da chi non lo ha visto, magari perché troppo giovane vale. Fuori concorso alla Mostra del cinema la regista ha presentato un documentario su Francesco Rosi, Citizen Rosi (nel titolo un palee omaggio a Citizen Kane, titolo originale di Quarto potere di e con Orson Welles) realizzato insieme a Didi Gnocchi: un film con materiali d’archivio e interviste su un cinema dalla fortissima impronta civile, su uno dei maggiori registi del cinema internazionale del dopoguerra. Basti ricordare titoli come Salvatore Giuliano (1962), Il caso Mattei (1972), Lucky Luciano (1973): denunce di collusioni tra Stato e mafia, di una politica truffaldina quando non criminale, o di una speculazione edilizia devastatrice come nel drammatico Le mani sulla città (1963),
Carolina Rosi e Didi Gnocchi hanno ricostruito anche l’enorme lavoro di documentazione e inchiesta con cui Francesco Rosi preparava i suoi film basati su fatti avvenuti. Il documentario parte “da quel film che il regista riteneva raccontasse la madre di tutte le trattative tra lo Stato e le mafie, tra settori delle istituzioni e cartelli del crimine, Lucky Luciano – scrivono le autrici nella nota su Citizen Rosi. Mettendo in fila le sue opere più legate alla cronaca, alla politica e alla società italiana: Salvatore Giuliano, La sfida, Le mani sulla città, Il caso Mattei, Cristo si è fermato a Eboli, Cadaveri eccellenti, Tre Fratelli, Uomini contro, Dimenticare Palermo, otteniamo una delle analisi più lucide della storia d’Italia. È un viaggio nel cinema civile di Rosi, del Cittadino Rosi, come lui amava definirsi. Un viaggio che applica il suo metodo di lavoro, quello che ha consentito che i suoi film resistessero agli elementi di novità portati nel tempo dalle inchieste e dalle analisi storiche”.
Napoletano, nato nel 1922, il regista e sceneggiatore è morto a Roma nel 2015.
Il documentario andrà nelle sale con l’Istituto Luce Cinecittà, poi lo trasmetterà Sky Arte.