Valerio Bonelli: l'italiano che fa brillare "L'Ora più buia"

Il film di Joe Wright con Gary Oldman nei panni di Winston Churchill offre un'interpretazione da Oscar dell'attore inglese. La musica è di Dario Marianelli e il montaggio di Valerio Bonelli.

Valerio Bonelli: l'italiano che fa brillare "L'Ora più buia"
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Marco Spagnoli Modifica articolo

9 Dicembre 2017 - 22.27


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Una delle cose che colpisce di più della visione de L’ora più buia di Joe Wright è l’ottimo montaggio dell’italiano Valerio Bonelli. Il film, infatti, claustrofobico e incalzante è reso estremamente dinamico dalle scelte artistiche del montatore napoletano cresciuto in Toscana che – come tanti cervelli in fuga – ha scelto Londra quale patria d’elezione collaborando ad una serie di film molto interessanti, impreziositi dal suo talento come – tra gli altri – Philomena, The Program e Florence di Stephen Frears, Hannibal Lecter di Peter Webber, nonché Il palazzo del Vicerè di Gurinder Chadha. 

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L’Ora più buia racconta la storia di Winston Churchill eletto Primo Ministro che oltre a dovere affrontare la crisi dovuta alla Blitzkrieg nazista che in pochi giorni ha inghiottito Polonia, Belgio, Olanda e Francia, si deve guardare dalle manovre ostili del suo stesso partito che vorrebbe trattare con Hitler una pace, verosimilmente, ignominiosa. 

Scritto da Anthony McCarten, autore anche del biopic su Freddy Mercury attualmente in produzione ed intitolato Bohemian RhapsodyL’ora più buia per la regia di Joe Wright (Espiazione, Anna Karenina) è incentrato sulla straordinaria interpretazione di Gary Oldman nei panni di Winston Churchill. Al suo fianco Lily James, Kristin Scott Thomas, Stephen Dillane e Ronald Pickup per un film emozionante e intelligente, che – senza dubbio – avrà il posto che merita nella prossima stagione dei premi, grazie alle sue interpretazioni è vero, ma anche grazie ad una qualità straordinaria sul piano narrativo e della ricostruzione storica. In questo senso il montaggio di Valerio Bonelli e la colonna sonora del già premio Oscar Dario Marianelli sono due cardini fondamentali di un film – a tratti –  esaltante che restituisce un lato inedito dello statista britannico: “Avevo già collaborato con Joe Wright per un episodio della serie televisiva Black Mirror.” spiega Bonelli “Ero affascinato dal fatto che questo racconto non fosse quello di un biopic, bensì di una sorta di thriller dove lo scandire del tempo avvicina i protagonisti sempre di più al baratro. Uno script del genere in mano ad altri registi avrebbe potuto diventare un film più classico e in costume, mentre Joe ha sempre avuto l’idea di una storia dal ritmo incalzante e travolgente. La sua visione di Churchill è quella di un uomo impaziente, frenetico, irrequieto ed insicuro. Un uomo che trova il conforto nel suo whisly, nel suo champagne, nei suoi riti. E’ il primo film che lo fa scendere dal suo piedistallo e che lo rende umano con tanti pregi e difetti. E’ un approccio moderno per raccontare la storia contemporanea, rendendola molto interessante.”

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Cosa le piace di Joe Wright come regista?

Il suo sguardo, il suo occhio attento e capace di una grande complessità che ho sempre amato. Adesso con L’Ora più buia è tornato ad un racconto più semplice, ma – al tempo stesso – intenso e maturo. E’ un film caratterizzato da un grande dinamismo dove è il destino di un’intera nazione se non di tutto il nostro pianeta ad essere deciso e determinato dalle azioni di un uomo spaventato, ma al tempo stesso determinato a portare avanti la sua visione. Una delle mie scene preferite è quella in cui Churchill parla con Roosevelt al telefono da solo: è la trascrizione fedele di quello che si sono detti e questo mi ha consentito di costruire un’atmosfera sonora molto particolare. 

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Quali sono state le scene più complesse?

Quelle di dialogo che arrivano anche a sette minuti: è stato lì che mi sono concentrato a restituire alla scena una dinamica importante per dare il senso di tensione ed oppressione. Ero interessato molto alle reazioni, agli sguardi, al come i protagonisti reagiscono dinanzi a certi giochi politici. Inoltre Gary Oldman era perfetto in ogni take di tutte le singole scene. Il nostro obiettivo era fare crescere il suo personaggio e – pian piano – farlo interagire con tutti gli altri protagonisti e con la storia. Credo che Gary abbia avuto un’ottima alchimia con Kristin Scott Thomas che interpreta sua moglie: un’attrice completa e straordinaria. Per me le scene più belle sono quelle che restituiscono un Churchill inedito ed intimo con la sua famiglia. E’ umanamente molto interessante. 

Il film in Italia verrà doppiato…

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E’ una cosa che mi fa molto paura: non sopporto più alcuni doppiaggi. Un film così, con un’interpretazione pazzesca come quella di Gary Oldman rischia di perdere il cinquanta per cento…tutti gli esperti che hanno visto il film hanno trovato la sua interpretazione molto importante e interessante sia dal punto di vista fisico che vocale. Gary non parla così: quando ho visto il primo provino ho avuto uno shock. Del resto, ogni giorno, si sottoponeva per tre ore al trucco. Su una lavorazione di undici settimane significa che è stato almeno dieci giorni a truccarsi…

Sia lei che Dario Marianelli avete un modo peculiare di lavorare con Wright…

Entrambi iniziamo subito in preproduzione: Dario inizia a scrivere la musica già sulla sceneggiatura. Quando io inizio a montare le scene non utilizzo mai il temp score, bensì 

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i suoi pezzi al pianoforte in versione demo. La musica cresce con il film: uno score minimalista che esplode poi nel discorso finale dove è chiaro che la Gran Bretagna farà guerra alla Germania. Dario è un musicista che instaura un dialogo interessante con il montatore: sceglie pochi progetti, ma ci si dedica completamente.  Questo modo di lavorare – anche nel mio caso – ci permette di dare vita ad un processo organico. Del resto io ho lavorato per circa otto mesi a questo film. Un montatore così può al massimo lavorare ad un unico film all’anno. So che in Italia questo non è permesso dai compensi, ma in UK, invece, le paghe permettono di dare il meglio di sé stessi e la massima concentrazione su un unico progetto. Questo è anche uno dei motivi per cui non credo di potere lavorare in Italia: qui il cinema consente di fare cose molto interessanti perché l’industria ti mette in condizione di farlo con il suo sistema di lavoro. Joe si contorna di Italiani: oltre a me e Dario c’era Tommaso Gallone che ha lavorato sul suono in maniera eccezionale. 

Avete montato durante le riprese…

Questo è il modo di lavoro che ti consente di rigirare, se necessario, delle scene. Lavorando ci siamo resi conto che avevamo bisogno di due inquadrature aggiuntive e così facendo è stato possibile. In Italia, invece, montando dopo, questo non accade. Tutti i grandi registi fanno così: quando con Pietro Scalia lavoravamo per Ridley Scott, lui veniva ogni sera. E’ anche un modo per conoscersi meglio e per stabilire un gusto, una visione del lavoro per approfondire la narrazione. Il regista acquista sicurezza perché conosce meglio il proprio lavoro e acquisice il senso del fllm. So che altri lavorano diversamente, ma io preferisco così. 

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Lei ha trascorso qualche tempo a Los Angeles, ma poi è tornato in Gran Bretagna…

Credo di avere fatto la scelta giusta: il cinema americano indipendente ha perso molto negli ultimi dieci anni rispetto a quello britannico. Quando sono tornato in UK ho trovato molti più spazi, ma anche a progetti interessanti e stimolanti da ogni punto di vista. 

E adesso?

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Sono reduce da diverse settimane trascorse in Malawi per la prima regia dell’attore Chiwetel Ejiofor: una storia bellissima di un bambino che salva il suo villaggio. 

 

L’ora più buia sarà nei cinema italiani il 18 gennaio.

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