L'adrenalina della Ferrari alla Festa di Roma: quando i piloti erano aurighi di cavalli ingovernabili

Un film che racconta, nel decennio anni '50 e '60, non solo l'epica di questo marchio, ma soprattutto quella dei suoi piloti. Uomini allora adorati come 'gladiatori'

L'adrenalina della Ferrari alla Festa di Roma: quando i piloti erano aurighi di cavalli ingovernabili
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30 Ottobre 2017 - 09.58


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Per la 12esima edizione della Festa del Cinema, l’intramontabile mito della Ferrari italiana. Il docufilm, ambientato a metà del secolo scorso, ripropone immagini impressionanti di un azzardato inizio attraverso le sequenze del regista Daryl Goodrich. Un film che racconta, nel decennio anni ’50 e ’60, non solo l’epica di questo marchio, ma soprattutto quella dei suoi piloti. Uomini allora adorati come fossero dei ‘gladiatori’ per la loro vita vissuta costantemente con la morte al fianco. In questo decennio, per fare solo un esempio, ne morirono ben 39 (quattro all’anno). Veri supereroi che correvano su auto piene di cavalli quanto ingovernabili e senza quasi nessuna sicurezza. Parliamo di piloti come Fangio, Luigi Musso, o anche come Peter Collins e Mike Hawthorne, a cui il documentario dedica il più ampio spazio. Al centro del docu ovviamente anche Enzo Ferrari, figura di spicco nel mondo delle corse automobilistiche e patriarca della Ferrari, che si vede attraverso immagini di repertorio e l’intervista rilasciata ad Enzo Biagi nel 2007. Ma in Ferrari: un mito immortale, disponibile in DVD e Blu-ray dal 6 Dicembre, spiega il regista più che sulla figura di Enzo Ferrari:” volevo raccontare la storia dei piloti dal punto di vista umano. Il loro coraggio, il cameratismo, le loro storie d’amore. Persone che restavano sconvolte dalla morte dei loro colleghi anche al pensiero che la domenica successiva poteva capitare a loro, per un loro errore o per quello di un altro”. Ed Enzo Ferrari, con il suo cinismo -, capace alla morte di Eugenio Castellotti a 27 anni di chiedere al suo staff di come fosse ridotta l’auto -, come ne esce? “Enzo Ferrari – spiega oggi a Roma Daryl Goodrich – era un uomo che aveva una profonda passione e con una tragica storia personale. Gli era morto prima il padre, poi il fratello e, alla fine con la morte del figlio Dino si è come ritrovato circondato dalla morte e le auto sono diventate tutta la sua famiglia. A inizio documentario – spiega il regista – avevo l’immagine anche io di un manipolatore, di un dittatore, ma poi mi sono dovuto ricredere. In fondo non obbligava nessuno a salire sulle sue auto. Certo era un incredibile individualista, ma era anche un talento incredibile, era un uomo”. Poi aggiunge: “allora i piloti erano sicuramente più coraggiosi di quelli attuali che possono avvalersi di sistemi di sicurezza allora impensabili. Anche per questo vivevano nell’immaginario della gente con più forza”. Tra le frasi cult del film, tutte a firma di Enzo Ferrari, quella rivolta ai piloti: “più li metti a disagio e meglio correranno”. E, infine, quella rivolta agli italiani tutti: “Sono capaci di perdonare ogni cosa, anche il furto, tranne il successo”.

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