Si è parlato molto in questi giorni del documentario ‘Human Flow’ di Ai Weiwei, attualmente in concorso alla Biennale di Venezia. Sicuramente ha colpito l’intento unico del regista di cogliere in un unico girato l’incredibilmente vasto tema della migrazione. Non ‘una migrazione’ di un unico popolo, in una singola direzione: ma l’integrità del corpo umano inteso come entità in movimento. La migrazione è stata infatti ‘catturata’ da Ai Waiwei in ben 20 paesi differenti e in 40 campi di accoglienza: più di 600 interviste e 1000 ore di riprese, tutto per rendere la complessità, la vastità, ma anche la personalità del fenomeno migratorio, attraverso volti e persone. Si affronta spesso l’argomento in geografia umana e politica della differenza tra ‘frontiere chiuse’ e ‘frontiere aperte’, e di come muti a seconda dell’una o dell’altra il ‘fluire umano’ sul territorio. Ecco, in questo documentario appare vividamente la realtà di queste distinzioni accademiche: gli esseri umani come un unico flusso che si espande, sempre centrifugo, ma trattenuto da barriere altrettanto umane. E ciò si muta poi in sentimento soggettivo, dalla speranza alla frustrazione: 65 milioni di profughi, dall’ Afghanistan a Lampedusa, dalla Turchia al Kenya, dal Messico all’Iraq.
“Dobbiamo renderci conto che stiamo assistendo al più grande esodo dai tempi della Seconda guerra mondiale, una tragedia umana che è sotto gli occhi di tutti – dice il regista – l’umanità è un unicum e se capiamo che non c’è un ‘noi’ e un ‘loro’ allora potremo affrontare la questione nel modo giusto e trovare una soluzione”.
Ai Weiwei, come artista, si è sempre mostrato in prima linea sui temi politici più pressanti. “Faccio molte cose ma sono prima di tutto un individuo, e come tale ho delle responsabilità. Gli artisti dovrebbero aiutare a creare consapevolezza delle tragedie umane, in molti ci provano ma pochi ci riescono perché magari non riescono a raggiungere un grande pubblico. In questo il cinema può aiutare”.
“Abbiamo cercato di trattare questo ‘Flusso Umano’ non come un fatto contingente ma con una prospettiva storica. Spesso i media quando parlano dei migranti creano un “noi” e un “loro”, aumentando le divisioni, è questo quello che abbiamo cercato di evitare”.
Cortesi poi le parole di Ai Weiwei sull’Italia e sul suo comportamento verso i migranti.
“Sono molto colpito da una nazione che ha capito questo tema in modo molto più profondo di altre e che lo sta trattando con grande sensibilità e rispetto ma non può essere lasciata sola perché si tratta di un problema globale”.
Dopotutto, “La soluzione riguarda tutti noi, non solo i rifugiati. Gli individui devono afre pressione sui politici, tutto deve iniziare da noi”.