Il film Nebbia in agosto è stato presentato a Roma da Marcello Pizzetti, storico della Shoah e Bruno Sed (presidente Ospedale Israelitico).
Il film è tratto dall’opera omonima di Robert Domes e ambientato nella Germania nel Sud degli anni ’40, la storia di Ernst (Ivo Pietzcker) ragazzino jenish orfano di madre, giudicato ‘ineducabile’, e così confinato in un’unità psichiatrica. Qui però si accorge che alcuni internati vengono uccisi sotto la supervisione del dottor Veithausen (Sebastian Koch). Ernst decide quindi di opporre resistenza, aiutando gli altri pazienti, e pianificando una fuga insieme a Nandl (Julie Hermann), il suo primo amore. ”Fu una bonifica sociale della società tedesca – dice Pizzetti – una vera e propria eliminazione in cui molti medici furono coinvolti. Nel 1941 questa operazione viene sospesa dallo stesso Hitler, a causa del malcontento dell’opinione pubblica, e inizia quello che si vede nel film, una eutanasia decentrata che non usa più il gas, ma il personale medico con la complicità di autisti e infermieri”.
Questo film, spiega ancora lo storico:”andrebbe fatto vedere alle scolaresche”, mentre, per quanto riguarda l’Italia, aggiunge Pizzetti non ha fatto ancora i conti con quel periodo storico: ”In Germania hanno aperto gli archivi in Italia hanno solo rivoltato l’armadio. In Italia nessuno paga. Ci fu allora una tendenza nel mondo politico e scientifico nell’individuare quella che, secondo loro, era una razza inferiore. Basta vedere, per fare un esempio, solo quello che pubblicava una rivista come La difesa della razza”. E conclude lo storico:”In Italia non c’è mai stato un vero dibattito su questa cose, basti pensare che non c’è neppure un museo sul fascismo che sarebbe un modo di prendere coscienza della propria storia”.
Spiega invece Bruno Sed: ”L’Ospedale Israelitico in questi mesi ha proposto più di un’iniziativa per evidenziare il ruolo attivo dei medici nella realizzazione dei piani di sterminio in epoca nazista e il film di Wessel affronta un aspetto decisivo nel percorso che porterà alla costruzione della macchina della morte nei campi di sterminio. Gli omicidi nelle cliniche psichiatriche come conseguenza del programma eutanasia, ripercorsi nella commovente storia del piccolo Ernst, evidenziano ancora una volta la disumanità del regime nazista e di come le inclinazioni dell’uomo, in assenza di orientamenti morali, possano trasformare la più nobile delle discipline nell’anticamera della morte”.