Ha appena ventotto anni e ha già collezionato un Premio Ubu, nel 2010, come miglior attore under 30, il Golden Graal 2012 come miglior attore drammatico, il Premio Kinéo – Giovani rivelazioni nel 2014, e il Premio Gallio come miglior attore nel 2013, Giovanni Anzaldo, radici nel torinese, e una carriera che inizia prestissimo per inseguire un precoce talento interpretativo.
Talento che forgia allo Stabile di Torino (dopo essersi lasciato alle spalle gli studi universitari di economia), al quale concorrono anche la “Teatranza Artedrama”, poi i laboratori sui “Rusteghi” a fianco di Gabriele Vacis e su “Il Gabbiano” con Carmelo Rifici. Talento che convince anche Alessandro Gassmann, allora impegnato nella messinscena di “Roman e il suo cucciolo”: spettacolo (poi trasformato in film con “Razzabastarda”, per cui Giovanni vince il citato Premio Gallio) che vale all’attore poco più che ventenne il più prestigioso riconoscimento teatrale italiano: «Per il suo spettacolo Gassmann cercava un attore romano. E io al primo provino andai, ma non fu un successo: il mio accento romano filtrato dal torinese rendeva tutto un po’ (molto) improbabile. Poi, su suggerimento di Franco Clavari, che con la Società per Attori produceva lo spettacolo, venni ripescato. Ci riprovai: questa volta si trattava di una scena diversa, molto più emotiva, di pancia, e meno parlata. Mi sono lasciato andare e ha funzionato. Il giorno stesso ho saputo che ero stato scelto: ne sono derivate tre stagioni nei teatri più belli d’Italia. È stato un grande debutto, ed è e resta una delle più belle e importanti esperienze della mia vita».
E la folgorante, irresistibile passione per la recitazione, Giovanni la spoglia sul palcoscenico con una sensibile e sensuale incisività attoriale, quella da poco vista in “Dedalus Lounge” di Gary Duggan per regia di Roberto Di Maio (in occasione dell’ultima edizione di “TREND nuove frontiere della scena britannica” a cura di Rodolfo di Giammarco, al Belli di Roma), e precedentemente in “Mar del Plata” di Claudio Fava diretto da Giuseppe Marini (che riprenderà la prossima stagione) e “Amerika” di Kafka diretto da Maurizio Scaparro. Da citare anche “Hey Girl” firmato da Romeo Castellucci, i lavori riconducibili a Mauro Avogadro come “Tre de Musset”, “L’incorruttibile” di Hugo von Hofmannsthal, “Histoire du soldat” da Stravinskij e Charles-Ferdinand Ramuz, fino ai “Giulietta e Romeo“ dello stesso Marini, agli “Uomini e topi” di John Steinbeck per regia di Carlo Roncaglia, e a “Sullo stress del piccione”, di cui Giovanni è autore, regista e interprete: «La scrittura, oltre a essere una valvola di sfogo, s’intromette piacevolmente nella mia quotidianità: quando guardo le persone per strada, osservo i loro movimenti, i loro gesti, vorrei subito scriverne, immaginare le loro storie, i luoghi dove vivono, la gente che frequentano. Mi piace fantasticare sulla realtà che mi circonda. Non so se questo potrà trasformarsi professionalmente in un futuro, chissà. Per ora scrivo la sceneggiatura del mio spettacolo, che spero di girare entro il prossimo biennio. Scrivo senza demoralizzazione né illusioni, ma con la giusta dose di follia: perché per fare questo lavoro un po’ pazzi bisogna esserlo, e io ci sto provando seriamente».
Nell’attesa che la follia di Giovanni si riveli anche nella sua prima opera filmica (mentre nel frattempo annuncia partenza per Cuba per il nuovo film di Veronesi “non è un paese per giovani”), sullo schermo di TV e cinema si fa ammirare in serie come “Terapia d’urgenza”, “Distretto di polizia 9”, “Paura di amare 2”, “Il restauratore 2”, “Non uccidere”, e “Task Force 45 – Fuoco Amico” (ora in preparazione accanto a Raoul Bova); e in pellicole del calibro di “Romanzo di una strage” di Marco Tullio Giordana; “La storia di Cino, il bambino che attraversò la montagna” e “Ti tengo per mano” di Carlo Alberto Pinelli; “Reality News” di Salvatore Vitiello; “Mille volte addio” di Fiorella Infascelli; “Mi chiamo Maya” di Tommaso Agnese; “L’attesa” di Piero Messina; “Assolo” di Laura Morante (ora nelle sale), e il pluripremiato “Il capitale umano” di Paolo Virzì: «Il cinema, libero dai frenetici tempi televisivi, è un ambiente simile a quello del palco: c’è tempo per fare le scene, per discuterne e riflettere insieme. Io ho avuto la fortuna di iniziare nel cinema accanto a nomi e progetti importanti che, oltre a esperienze meravigliose, sono state fondamentali opportunità di crescita. Penso al lavoro con Virzì e all’ansia che mi seguiva tra scena e set (all’epoca ero in replica con Romeo e Giulietta): veri mesi di fuoco che però hanno contribuito a costruire la mia felicità. La vita di un attore oscilla tra momenti frenetici e dolorose attese; nel mezzo inquietudini, difficoltà quotidiane: un sano scongiuro di tranquillità, insomma. Ma questo mestiere è fatto così e devi esserne innamorato, perché se non lo fai con amore allora hai già perso. E ovviamente con follia. Sì, amore e follia, altrimenti non ha senso».