Perfect Day: il conflitto del Balcani, per guardare al futuro

Perfect Day è un film da vedere e da far vedere per capire qualcosa in più del nostro recente passato, per intuire qualcosa del futuro. [Ivo Mej]

Perfect Day: il conflitto del Balcani, per guardare al futuro
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17 Novembre 2015 - 10.09


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di Ivo Mej

Ci sono dei film senza tempo. Anche quando narrano fatti ormai lontani da noi, il loro valore storico ed umano rimane intatto, come se gli eventi raccontati fossero del giorno prima. All’indomani degli attentati di Parigi sembrerebbe infinitamente fuori luogo andare a rivangare la lontana guerra nell’ex Jugoslavia e, invece, la sfida di ‘Perfect day’ è incredibilmente riuscita. In un colpo, vent’anni vengono spazzati via dalla sofferenza degli oppressi di allora e dall’umanità non senza contraddizioni di quanti si dannano l’anima per portare un briciolo di aiuto.

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Definito da più parti il film rivelazione di Cannes, tratta l’argomento al quale i francesi erano più sensibili fino a quando il terrorismo non li ha toccati direttamente: la guerra più vicina che l’Europa abbia mai vissuto dopo il secondo Conflitto mondiale.

Strano, ma vero, il regista, Fernando Leon de Aranoa (già candidato all’Oscar nel 2002 con ‘I lunedì al sole’) è uno spagnolo e forse proprio per questo il film naviga spesso nelle piacevoli acque di una ironia mai fuori luogo, persino nelle scene più drammatiche: un cadavere da rimuovere da un pozzo d’acqua è il leitmotiv di tutto il film ma la levità del tocco iberico fa muovere la macchina da presa sul tenue filo che separa la tragedia dalla farsa.

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Benicio del Toro (Mambrù), Tim Robbins (B), Melanie Thierry (Sophie) e Olga Kurylenko (Katya) sono un gruppo di volontari disadattati, con maggiori problemi a casa che in scenari bellici. Lavorano per una ONG specializzata in riparazioni idrauliche in un Paese ormai collassato, senza più ordine né legge. A resistere, solo quel po’ di umanità che la guerra ha fatto a brandelli dove le piccole storie personali aprono squarci su tragedie universali proprie di ogni popolo devastato.

Manca loro solo una settimana prima di lasciare il Paese. Gli accordi internazionali sono stati siglati e la guerra sta per finire. Hanno da portare a termine ancora un lavoro, però: salvare il pozzo di un villaggio dalla contaminazione.

Il coinvolgimento dello spettatore è immediato e diretto, messo di fronte come è alle piccole/enormi scelte che i protagonisti devono effettuare per sopravvivere: oltrepassare una vacca morta sulla strada da destra o da sinistra? Le mine possono essere ovunque; rispondere o no alla prepotenza di un ragazzino se questo tira fuori una pistola automatica? Discutere con milizie locali che stanno forse per giustiziare una ventina di popolani?

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L’incontro con Nikola, un inconsapevole piccolo orfano (Eldar Residovic) darà uno scopo in più al quartetto: trovare per lui un pallone nuovo. Purtroppo, la ricerca porterà anche a più macabre, prevedibili scoperte. Sullo sfondo, il ruolo deprimentemente inutile delle Nazioni Unite e dei suoi caschi blu, impegnati più a fare rispettare protocolli scritti a Ginevra che a risolvere problemi quotidiani della gente.

Interpreti magistrali e in odore di Oscar. Benicio sopra a tutti, ma nessuno sfigura.
A Perfect Day è un film da vedere e da far vedere per capire qualcosa in più del nostro recente passato, per intuire qualcosa del futuro.
Il tutto, condito – come si diceva – da un tocco lieve niente affatto scontato. Non è da tutti riuscire a inserire in un film su una guerra sporca come quella jugoslava una battuta così: “se una mette le mutandine nere per venire qui, si aspetta senz’altro qualcosa.”

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