«È l’arma dei cavalieri Jedi. Non goffa o erratica come un fulminatore… è elegante invece, per tempi più civilizzati». Con queste parole Obi-Wan Kenobi illustrava al giovane Luke Skywalker la spada laser, impossibile oggetto dei desideri della nostra infanzia e non solo. Davvero impossibile? Forse no. E quale – fra tutti i “tempi civilizzati” – sarebbe più confacente a vederne la realizzazione se non questo nostro 2015, Anno internazionale della luce? Ebbene, se per stringere l’arma Jedi toccherà purtroppo attendere ancora a lungo, qualche significativo progresso in effetti è stato compiuto. Uscirà infatti proprio questo mese, su Physical Review Letters, uno studio che dimostra come sia possibile far interagire due fotoni quasi fossero gli atomi d’una molecola biatomica. Così da creare una sorta di molecola di luce. Primo, importante, passo verso la produzione d’oggetti composti da nient’altro che fotoni.
A dire il vero, già due anni fa Ofer Firstenberg e i suoi “collaboratori Jedi” di Harvard avevano mostrato, sulle pagine di Nature, che è possibile, rallentando la luce fino a un centinaio di metri al secondo, trasformare i fotoni in polaritoni. Così da manipolarli come se fossero mattoncini di materia. E l’anno successivo, grazie a una clessidra d’atomi di rubidio, dai laboratori del MIT già uscivano le prime “molecole di luce”: due fotoni in interazione talmente forte fra loro da poter essere considerati una coppia.
Ora è stato compiuto il passo successivo. Guidati questa volta da Alexey Gorshkov e Mohammad Maghrebi del NIST, il National Institute of Standards and Technology, i ricercatori sono riusciti a dimostrare come, variando alcuni dei parametri che governano il processo che li tiene in interazione l’uno con l’altro, la funzione d’onda che ne risulta sia analoga a quella d’una molecola biatomica con i due polaritoni separati da una lunghezza di legame finita. In altre parole, i fotoni d’ogni coppia possono viaggiare a braccetto tenendosi a una distanza specifica l’uno dall’altro.
«Stiamo imparando come costruire stati di luce complessi. Stati che, a loro volta, potranno essere assemblati in oggetti ancora più complessi. E mai prima d’ora si era riusciti a mostrare come legare fra loro due fotoni mantenendoli a una distanza finita», spiega Gorshkov, illustrando poi i potenziali campi d’applicazione di questi impalpabili oggetti del futuro prossimo: «Sono tante le tecnologie moderne che si basano sulla luce, da quelle per la comunicazione all’imaging ad alta definizione. Molte di loro potrebbero essere notevolmente migliorate se potessimo progettare le interazioni tra i fotoni».
Spade laser a parte, le possibilità d’utilizzo di molecole di luce formate da due – o meglio ancora tre o più – fotoni in effetti sono numerose. Anzitutto nei computer, con circuiti e processori di luce al posto di quelli attuali al silicio. E sarebbe un notevole passo avanti non solo in termini di velocità ma, soprattutto, di consumi. Oggi, dopo aver percorso migliaia di km alla velocità della luce all’interno delle fibre ottiche, una volta giunti a destinazione i messaggi di fotoni devono comunque essere trasformati in messaggi d’elettroni, se vogliamo poterli aprire e leggere. Un passaggio che comporta un notevole speco d’energia, che potrà essere evitato quando i computer saranno in grado di compiere le loro operazioni direttamente con bit di luce. Ma un campo d’applicazione ancora più immediato, seppur di nicchia, è quello dei calibratori per sensori di luce. Governare i fotoni come stanno imparando a fare al NIST consentirà infatti di creare “candele standard” formate da un numero di particelle di luce ben definito, preciso fino al singolo fotone.
«È un modo inedito ed entusiasmante per studiare i fotoni, questo» conclude Gorshkov. «Non hanno massa e volano alla velocità della luce. Rallentandoli e combinandoli l’un l’altro potremo scoprire su di essi cose che ancora non conosciamo».