“Sono contento di aver ricevuto questo riconoscimento. Non sapevo di essere stato nominato nel sondaggio del Giornale dello Spettacolo. L’ho scoperto sulla mia pagina di Facebook e ho notato che pian piano i voti aumentavano. Sapevo di aver lavorato bene e questa vittoria lo dimostra, anche perché bisogna essere obiettivi in quel che si fa”. Con queste parole Marco Palvetti ha commentato la vittoria nel sondaggio del Giornale dello Spettacolo, in cui i lettori lo hanno eletto, con un plebiscito, come rivelazione cinematografica dell’anno. “Sapevo – ha continuato l’attore celebre per aver interpretato il ruolo di Salvatore Conte in ‘Gomorra – La Serie’ – che tutti gli altri attori nominati erano bravi e valenti. È un riconoscimento che va a me, ma soprattutto a chi crede in questa giovane generazione di attori, che sono affamati, hanno voglia di cambiare le cose, di fare la storia”.
Quale è l’importanza di essere stato scelto come rivelazione del 2014?Questo riconoscimento per me è importante soprattutto per un motivo. Ho notato che, tra gli attori scelti per partecipare al sondaggio, io ero l’unico a venire da una serie televisiva. Questo è un fatto molto importante. Negli ultimi anni il cinema si sta un po’ adeguando a quella che è la qualità della tv. Allora ricevere un riconoscimento del genere, in questo momento, mi fa capire che forse si può ripartire anche dalla televisione, che non deve solo essere un accompagnamento quotidiano, ma è oggi il mezzo comunicativo più forte. Credo che sia più forte addirittura del web. Bisogna ripartire da prodotti come “Gomorra”, che porterà la fiction italiana in giro per il mondo, in più di cento paesi: credo che ripartire dalla qualità, in ogni ambiente, sia fondamentale.
Quali sono le difficoltà per un giovane che intraprende oggi il mestiere dell’attore?Quello che noi facciamo e che chiamiamo “mestiere” è la vita. Per me, il mio lavoro è la mia vita: lo amo tantissimo. È molto bello, ma è un lavoro anche aleatorio: spesso il mercato detta le leggi. Io e gli altri attori della mia generazione possiamo fare da ponte. Mi spiego meglio: davanti a noi ci sono generazioni di attori che hanno vissuto un’epoca diversa, in cui i contenuti hanno fatto quest’arte; dietro di noi ci sono i giovani che molto spesso non sanno nemmeno che cos’è il nostro mestiere, a causa della cattiva informazione. Noi siamo l’ultima spiaggia per collegare e fare da ponte tra queste due generazioni. Noi infatti possiamo ancora fare una scelta: sottometterci al sistema, accettando le concessioni che ci fa, oppure fare la storia. Questo, secondo me, è il momento giusto per fare la storia, anche insieme a tutti gli altri attori per cui si poteva votare. Questo pensiero deve e può essere la vera rivelazione del 2014.
Come è cambiata la tua vita dopo “Gomorra – La serie?”Questa è domanda che mi fanno in tanti. Da fuori la prima cosa che noti è la popolarità, la gente riconosce un’attore e il suo lavoro e questo ha fatto crescere dentro di me la responsabilità, in maniera estremamente naturale. Davanti alla macchina da presa, davanti ad un pubblico di dire qualcosa e se necessario sollevare delle questioni. Il premio più grande per me è avere la possibilità di dire qualche cosa e di sollevare questioni. Inoltre, la responsabilità più forte che sento è quella nei confronti di chi è più piccolo, di chi si approccia a questo mestiere e non trova qualcosa di molto facile con cui fare i conti.
Quali consigli puoi dare a chi vuole diventare un attore?Gli direi di studiare, di non pensare alle lucine dell’albero di Natale, e di soffermarsi alla linfa che c’è dentro a questo lavoro. Poi gli direi di puntare sulla propria esigenza, di capire soprattutto se questo è quello che vuole. Fare l’attore è una scelta di vita piena e comporta grandi sacrifici: bisogna sentire davvero questo desiderio, per far bene questo lavoro perché altrimenti diventa un’accozzaglia di roba che non serve a nessuno. Quindi gli direi: “Fallo e comprendi se questo è il tuo amore!”.
Dopo Gomorra, sei ritornato a recitare in teatro: che differenza c’è tra recitare per una serie tv e dal vivo?Al momento sono in scena con “Nuda Proprietà” di Emanuela Giordano, insieme a Lella Costa, Paolo Calabresi e Claudia Gusmano. Siamo solo quattro attori e questa è la seconda tournée dello spettacolo. È una commedia amara, tratta da un testo di Lidia Ravera. Io ho studiato e fatto un percorso all’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, fondamentale per la mia formazione, e qui ho imparato, per rispondere alla tua domanda, che non c’è alcuna differenza tra la recitazione cinematografica e quella teatrale: sta tutto nella sensibilità dell’attore. Ci sono esperienze tecniche diverse: qualcosa cambia davanti alla macchina da presa o su un palcoscenico, è chiaro. Attraverso la propria sensibilità attoriale e umana, sensibilità “quasi” coincidenti, l’attore può esprimere il fuoco che ha dentro, riuscendo ad esprimerlo anche in ambienti lavorativi diversi.
Cosa c’è nel futuro di Marco Palvetti?Ci sono un po’ di cose che sto valutando. La tournée di Nuda proprietà finirà a febbraio. Poi inizieranno le riprese della seconda stagione di Gomorra. Ho recitato anche nel cortometraggio “Gran Finale” diretto da Valerio Groppa e prodotto da Jacopo Capanna. È una commedia che hanno finito di montare da poco e poi ci confronteremo con i festival, che io credo servano sempre ad unire per creare dei nuovi salotti di condivisione creativa, per sviscerare le necessità della nostra società. Inoltre sono socio-fondatore della compagnia BluTeatro, composta da altri validissimi attori, tutti under 30, diplomati con me in Accademia. Abbiamo intenzione di portare avanti dei progetti nostri: è una compagnia molto coraggiosa, perché si scontra con una realtà, soprattutto politica, che pensa che la cultura non appartiene più alla nostra storia e in cui chiudono quasi un Teatro al giorno! Ma rischiare ed essere coraggiosi è qualcosa che fa parte del lavoro dell’attore.
Qual è la tua più grande paura?La mia paura più grande? Non è legata a questo presente, perché io mordo la vita. È legata a un futuro che non so quando sarà e se arriverà. Non voglio arrivare a 70 anni, fare i conti della mia vita, essere pieno di riconoscimenti, ma vedere che il mio lavoro non esiste più, perché non ho saputo proteggerlo. Questo è il mio cruccio.