Giacomo Leopardi anticonformista, patriota, laico, rivoluzionario e ambizioso. Non è quello stereotipato che ci hanno propinato a scuola, ma quello, più vicino alla realtà, che viene fuori dal film di Mario Martone, “Il giovane favoloso”, nei cinema di tutta Italia da ieri. Elio Germano gli dà anima, corpo e anche la voce in maniera eccellente. Ma come era davvero il modo di parlare del poeta di Recanati?
Leopardi è morto a 39 anni nel 1837 e, come è ovvio, non esistono registrazioni della sua voce. Esistono però testimonianze scritte sul suo eloquio: “Avea pronunziazione modesta e alquanto fioca e un sorriso ineffabile e quasi celeste”, scrive nella premessa alle ‘Opere di Giacomo Leopardi’ (Firenze, Le Monnier, 1845) Antonio Ranieri (1806-1888), napoletano, amico fraterno del poeta di Recanati.
La sua voce insomma è proprio come la si immaginerebbe: “Non parlava molto; mi parve concentrato: senza però ombra di superbia o alterigia o fare sprezzante mai e poi mai… E mi sembra anche che la gentilezza ne facesse assolvere la taciturnità e la mestizia incessante, continua” scrive in una lettera Girolamo Cioni, figlio di Gaetano Cioni (1760-1851), chimico fiorentino e amico di Leopardi durante il suo soggiorno a Firenze.
Lo storico della letteratura italiana Francesco De Sanctis (1817-1883), che conobbe da ragazzo Leopardi a Napoli, presso la scuola di Basilio Puoti, ricorda che “benché il poeta avesse manifestato pareri diversi da lui, il conte [Leopardi] parlava così dolce e modesto, ch’egli non disse verbo” (‘Opere complete’ a cura di Nino Cortese. Napoli, Morano, 1930, voI. XI, p. 72). “La sua conversazione è altamente erudita e piacevole” racconta in una lettera del 1834 August Von Platen (1796-1835), poeta e drammaturgo tedesco, che divenne amico di Leopardi a Napoli. “Conoscendolo più da vicino – spiega ancora Von Platen – scompare quanto c’è di disaggradevole nel suo esteriore, e la finezza della sua educazione classica e la cordialità del suo fare dispongon l’animo in suo favore” (brano di diario riportato da Cesare De Lollis in ‘Augusto Platen’).
Infine il severo padre Monaldo Leopardi (1776-1847), che ebbe la disgrazia di sopravvivergli, ricorda con dolcezza la maniera di parlare del figlio Giacomo (nel ‘Memoriale sopra il figlio Giacomo’, in ‘Carteggio inedito di vari con Giacomo Leopardi’, a cura di Giovanni e Raffaele Bresciano. Torino, Rosenberg, 1932): “Un’ora dopo l’Ave Maria, si metteva a sedere circondato dai suoi fratelli, e con essi conversava amichevolmente un paio di ore… Levate quelle due ore era ordinariamente silenzioso; mai però burbero e scortese, e quando gli si rivolgeva il discorso o rispondeva con brevi e cortesi parole, oppure sorrideva”.