Lucamaleonte: "Sono un artista urbano, non uno street artist"

Il comune di Antrodoco riparte dalla street art trasformandosi in una galleria urbana. Tra gli artisti di spicco il romano "Lucamaleonte",Luca Vollono

Lucamaleonte: "Sono un artista urbano, non uno street artist"
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8 Marzo 2021 - 15.08


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di Alessia de Antoniis

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La R/Esistenza del comune di Antrodoco, nella zona colpita dal terremoto della Valle del Velino del 2016, riparte dalla street art. Il paese reatino si trasforma, dai primi di marzo, in una galleria urbana, ospitando nomi di punta del panorama internazionale, come Stan&Lex, considerati tra gli eredi di Banksy, Lucamaleonte, Neve e Alessandra Carloni.
La mostra, che verrà inaugurata il 20 marzo, è organizzata da Marco Paciotti e Alin Cristofori di Ondadurto Teatro.
“R/esistenza” – ci spiega Alin Cristofori – vuole opporsi all’isolamento culturale. Resistere è anche riappropriarsi degli spazi sociali, dei luoghi della vita quotidiana: il progetto si pone l’obiettivo di trasformare un piccolo centro urbano in un polo di attrazione turistica per le arti. La Street Art è oggi un’arte contemporanea che si rivolge direttamente ai cittadini, agli abitanti, un’arte “in presenza” che incontra e si confronta con gli sguardi di uno “spettatore” casuale.
Resistere è essere, aprirsi all’altro e all’incontro, non stare fermo, bensì immaginare un confronto costante attraverso visioni future”.
Uno degli artisti di spicco della mostra è l’artista romano Lucamaleonte, Luca Vollono. Suo il murale raffigurante Gigi Proietti al Tufello di Roma, quartiere dove l’attore era nato.
Luca, non ti piace essere definito street artist.  
Sono un artista urbano. La street art ha una connotazione molto precisa e non è quello che faccio io. Ognuno fa la sua arte con tecniche diverse e per motivi diversi. Ma la street art, per me, è quella che viene fatta illegalmente, che facevo vent’anni fa senza permessi e senza soldi. La street art nasce illegale e così deve rimanere.
Perché l’hai lasciata?
Perché dovevo pagare il mutuo.
E fare tutte e due?
Se avessi il tempo per entrambe, lo farei. Ho spazi liberi per esprimermi e non sento più la necessità di farlo in strada, ma non ho tempo. Il mio lavoro è cambiato.
Non ho neanche tempo di vedere mostre di street art. Uno si aspetta l’artista fuori dagli schemi, ma ho tre figli, una moglie e il cane. Faccio una vita normale.
Mi fai cadere il mito dell’artista alla Banksy…
Non ho mai avuto questo mito. Anzi, ho sempre pensato che la normalità sia la vera rivoluzione. Soprattutto in questo momento storico. Ho sempre inseguito un ideale di vita tranquilla: mi faccio gli affari miei, non ho tanti amici che fanno questo lavoro e non ho interesse a fare la vita da artista.
Però hai partecipato al celebre Cans Festival del 2008 organizzato da Banksy a Londra. Quindi sai chi è?
No e non capisco tutta questa smania di saperlo. Quello che conta è la sua arte. All’inizio c’era un po’ il mito dello street artist che vuole restare in disparte. Era così anche quando con Stern&Lex abbiamo organizzato la prima mostra di street art a Roma.
Laureato all’Istituto d’arte per il restauro, perché sei entrato nel mondo della street art?
Ho iniziato con i grafiti a tredici anni, ma non ero bravo come writer e ho smesso. Li facevo sempre da solo, non avevo amici che condividevano con me questa passione. Intorno al 2000 ho iniziato a vedere per strada i primi stencil di artisti come JB Rock e ho capito che potevo disegnare in strada. Ho iniziato con i poster e gli sticker, poi direttamente sui muri. Fare il restauratore doveva essere la mia principale professione, poi era diventato un piano B. Visto che il piano A ha funzionato, il piano B l’ho dimenticato.  
Fortuna?
Ho iniziato in un momento in cui eravamo pochi, soprattutto a Roma, e ho avuto la fortuna di avere una famiglia alle spalle che mi ha sostenuto economicamente. Poi la costanza di restare attivi e tanta determinazione.
I tuoi hanno accettato?
All’inizio hanno faticato a capire, poi gli ho spiegato quali fossero le mie aspirazioni. Hanno avuto fiducia in me. Non credevano a una carriera da artista che durasse tutta la vita, ma dopo i primi risultati mi hanno aiutato e permesso di andare avanti.
Per privati o gallerie dipingi su supporti mobili, di dimensioni inferiori a quelle dei muri in strada.  Resta intatto l’effetto e lo spirito della street art?
Lavorare su tela o altri supporti ha un effetto diverso, ma quella non è street art. Anche l’approccio cambia completamente: dalla composizione dell’immagine alle tematiche affrontate. Quando si realizza un dipinto su un muro, il supporto ha una sua storia e bisogna conoscerla. Per trasformare un murale in un’opera d’arte, vanno incastrati tanti elementi. Non basta fare un disegno. Altrimenti lo stesso disegno potrebbe funzionare a New York come  a Roma. Ogni opera ha una storia che è legata al luogo dove viene realizzata. Fare un progetto in studio senza sapere dove va, non rispecchia il mio modo di lavorare. I materiali che uso in studio sono la tela e il legno, ma l’approccio è diverso. Utilizzo principalmente il legno perché è un materiale che, come il muro, ha una vita che è precedente all’opera.
I muri di casa tua sono affrescati?
No, a casa non c’è nulla di mio. Ho solo quadri di amici e fotografie. Non mi piace avere le mie cose in giro.
Lavori spesso su commissione. Eri più libero quando disegnavi illegalmente?
Oggi mi sento anche più libero. Quando dipingevo solo illegalmente non avevo soldi e non ero libero di fare nulla. Certo, faccio anche lavori più vincolanti, a volte meno entusiasmanti, ma mi piacciono esattamente come quelli che realizzo dove mi sento libero. È bello anche lavorare con stimoli esterni, con una direzione artistica diversa. Gli ostacoli sono sfide. Lavoro molto con i brand, collaboro con Bulgari da sette anni, ho lavorato con Dr. Martens, Nike. Dover rispettare delle regole è una sfida continua a migliorare e a superare quelle regole con l’ingegno. È bello quando ti dicono “hai un muro: fai quello che vuoi”, ma è bello anche quando ti indirizzano.
Cosa hai fatto per Bulgari?
Ho curato l’immagine del Natale di quest’anno: tutte le vetrine, il packaging dei gioielli per il settore retail. Un paio di anni fa, durante i lavori di ristrutturazione della boutique di Milano, ho dipinto grandi pannelli bianchi con serpenti di diamanti e pietre preziose. Lo scorso anno, per la filiale di Parigi, ho realizzato un’opera di art work con la tour Eiffel e il Pantheon. Il logo legava idealmente le due città, Roma e Parigi.
Ad Antrodoco, per R/Esistenza, dipingerai l’arco del municipio. Resistere vuol dire anche non cedere all’urto e Antrodoco è un paese che ha resistito all’urto del terremoto. Come hai resistito all’urto del covid?
È un progetto arrivato in un momento sicuramente difficile. L’anno scorso il lockdown ha rallentato la mia creatività. Sono stato fermo come tutti e mi è pesato. Non dipingerò tutto l’arco, ma solo tre pannelli. Mi sono rifatto a tematiche che avevo già affrontato e che si coniugavano bene con il progetto di Antrodoco: il rispetto della natura, dell’ambiente e la nostra presenza in questo mondo. Lavoro principalmente con animali e piante, quindi ho replicato uno scenario di natura agreste: piante, fiori, un cinghiale e una volpe. Ci sono dei contesti in cui basta disegnare la vita per poter fare qualcosa di significativo.
 
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