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Il futuro delle telecomunicazioni sta nel pubblico, non nel privato

La corsa sfrenata di Facebook e degli Over The Top, il ritorno di Canal+, la rivalità di Sky, Mediaset e della Rai: quale strada bisognerà percorrere?

Il futuro delle telecomunicazioni sta nel pubblico, non nel privato
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Vincenzo Vita Modifica articolo

3 Agosto 2017 - 16.15


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Il dato nuovo, interessante –a prescindere- della discussione sulla rete di telecomunicazioni e sulla sua ipotetica “ripubblicizzazione” è l’evidente declino dell’era del Privato. E’ stato un periodo foriero di danni seri. Si potrebbe dire, anzi, che l’eccesso non ha fatto bene neppure al capitalismo italiano, gracile e subalterno come non mai. Il tema è tornato all’ordine del giorno in aree diverse tra di loro, a conferma di una tendenza. Pensiamo alla riacquisizione da parte dell’Istituto Luce degli Studios di Cinecittà; all’ emergenza acqua; alla complessa storia dell’accennato network della fibra. Quest’ultima fiammata è davvero sintomatica, vista l’enfasi con cui a suo tempo (correva l’anno 1997) fu accompagnata la “madre” di tutte le privatizzazioni. Ora, a fronte della resistenza francese all’iniziativa di Fincantieri, è cresciuta la voglia di dare un metaforico calcio a Vivendi e di riprendersi Tim-Telecom.

Al di là della sfida tra tricolori –accidenti, che disinvoltura dopo gli inni alla gioia di Macron e a valle delle religione globalista- di che si parla, davvero? Passi per il “Mov5Stelle”, che allora proprio non c’era neanche nella mente di Grillo. Ma dove stavano all’epoca coloro che oggi discettano sull’argomento come se fossimo all’anno zero?

Vent’anni dopo le condizioni reali del sistema sono assai cambiate. Allora la posa dei cavi era la parte per il tutto, la sineddoche che impreziosiva il villaggio. Oggi sovrastano il vecchio comparto gli Over The Top: Apple, Alphabet-Google, Microsoft, Amazon e Facebook valgono tremila miliardi di dollari e ci ammoniscono su come si declina il potere odierno, che preferisce il cielo dell’icloud alla terra delle condotte. La proposta di separare la rete dai servizi non ebbe successo nell’era del boom delle tlc (l’Italia aveva bisogno di soldi: pochi,maledetti e subito per entrare nell’Euro) e neppure una decina di anni dopo, con le proposte accolte da cori negativi di Angelo Rovati. Ora le cose sono cambiate. Intanto, Tim è in mano a proprietari –a partire dal controllante Bolloré- cui non si può sottrarre come niente l’infrastruttura. Sarebbe una confisca. Inoltre, nella hit parade è salita l’Enel, con Open Fiber, che ha pure vinto delle gare pubbliche. Certamente è utile l’ipotesi avanzata dal presidente della commissione industria del senato Mucchetti di realizzare un’intesa societaria. Tuttavia, per convincere Arnaud de Puyfontaine e colleghi a scegliere una strada difficile ma lineare, non condizionata da qualche società finanziaria per lucrarci, servirebbero delle convenienze. Ci lavorò –proprio inascoltato- anche l’ex amministratore delegato Franco Bernabé.

Ecco il punto. Ri-pubblicizzare è bello e ha la voce in sottofondo di Corbyn se non si limita ad uno slogan propagandistico o effimero, pura battaglia navale con i francesi. Sono da riconsiderare, giusto per cominciare, altre modalità di regolazione, simili a quelle che presiedono i settori del gas o dell’elettricità, con tariffe incentivanti. Forse, allora, la rete pubblica passerebbe dalla teoria alla prassi.

Infine, un particolare che ci racconta qualcosa della volontà di Vivendi. Ritornerà in scena, con una joint venture, il gruppo mediale di Canal+. Si tratta di un ritorno, dopo la prima avventura del 1996, con l’acquisizione di Telepiù. Poi arrivò Rupert Murdoch e soppiantò i transalpini. Un po’ di geopolitica. Il rientro in scena non è innocente, bensì una mezza dichiarazione di ostilità verso Sky e Mediaset. Per l’intanto Rai non pervenuta.

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